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“Mai visto una manovra dettata così da Bruxelles”, ci dice Monti

Luciano Capone

Per l’ex premier “il dato della manovra è il riconoscimento delle istituzioni europee. Il sentimento pro-Europa sta aumentando”

Roma. La retromarcia improvvisa del governo gialloverde fa dire a qualche collega, durante lo scambio degli auguri di Natale, con un velo di ironia che “è nato il Monti bis!”. Mario Monti, capo del governo tecnico del 2011, sorride ma non è d’accordo. “L’attuale maggioranza è composta dai soli due partiti che non si sono assunti la responsabilità dell’emergenza del 2011 – dice al Foglio –. La Lega dal Parlamento e il M5s dalle piazze e dai social media hanno costruito una fake history, un mosaico composto da pezzi di falsità, e su questa base hanno promesso di fare il contrario qualora fossero andati al governo”. Ora è arrivato un bagno di realtà – “Nessuna manovra ha mai subìto una dettatura del genere da Bruxelles”, dice il senatore a vita – che costringe il governo Conte a ripensare sé stesso, la sua strategia politica e il ruolo dell’Italia in Europa. 

 


Mario Monti, foto Imagoeconomica


Quando era premier del Lussemburgo e presidente dell’’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker – l’attuale presidente della Commissione – a proposito delle riforme strutturali diceva che i politici sapevano cosa fare ma non come farsi rieleggere dopo aver fatto ciò che era necessario. Ora sembra l’opposto: i politici populisti sanno come farsi eleggere ma non cosa fare per mantenere le promesse con cui hanno vinto le elezioni. “Nella politica c’è una divaricazione sempre più ampia tra le capacità necessarie per essere eletti e quelle necessarie per governare bene – dice Monti –. Ma queste attitudini dovrebbero trovare una composizione”. Non è un problema solo italiano, come dimostrano le vicende francesi. “Anche in Francia si vede il terzo presidente consecutivo, dopo Sarkozy e Hollande, che non riesce a riformare il paese. Evidentemente Macron per ora non ha parlato nel modo giusto al paese e non è riuscito a far passare provvedimenti che sono molto più modesti, per esempio, della riforma delle pensioni fatta da noi nel 2011-2012”.

 

Il professore della Bocconi si sofferma sulla necessità di essere “impopolari” per avere un impatto positivo sul lungo termine, ma proprio queste riforme strutturali sono state rigettate dagli elettori che hanno preferito i politici che promettevano unicorni. “Il successo dei populisti è stato involontariamente alimentato dalla stessa Europa attraverso un Quantitative easing che ha dato luogo all’assenza di reazioni in termini di spread. E questo ha fatto sì che fiorissero promesse elettorali senza precedenti”. C’era il timore che il Qe della Bce alimentasse una bolla finanziaria e invece ne ha gonfiato una politica. “La mia non è una condanna del Qe e men che meno di Draghi, forse il Qe poteva cominciare e finire un po’ prima ed essere meno pingue. La mia è la constatazione che, dopo l’esperienza del 2011, gli italiani sono sensibili allo spread. E si è visto che le mosse del governo per rendere la manovra più compatibile con la realtà sono arrivate quando lo spread si è alzato”.

 

Adesso si è quindi aperta una nuova fase. “Sì, ed è il raggiungimento a ritmo forzato dell’età adulta da parte di due adolescenti – Di Maio e Salvini – brillantissimi nella costruzione del consenso attraverso la falsità, forse anche inconsapevoli che si tratta di falsità”. Ora forse c’è maggiore consapevolezza. “Cadono sulle loro teste, una dopo l’altra, le tegole della loro costruzione di bugie. E’ anche un modo per riscoprire la realtà. Ma a caro prezzo per il paese, perché mai ho visto un tale ruolo di dettatura da parte di Bruxelles, che ha voluto dire un’espropriazione del ruolo del Parlamento, che è la più diretta espressione del popolo. Del resto lo si è visto anche nei dettagli, la discussione in Senato è stata ritardata di un’ora in attesa della dichiarazione di Dombrovskis e Moscovici”. E’ il paradosso del sovranismo, che alla fine si è sottomesso a quelli che venivano considerati “zombie” da spazzare via alle europee. “Eravamo partiti con ‘me ne frego dell’Europa’ ‘lo spread me lo mangio a colazione’ e ‘quello è un ubriacone’... ma la cosa più importante che è avvenuta è il riconoscimento dell’Ue, il riconoscimento politico e diplomatico delle istituzioni europee. Non sappiamo come andranno le prossime elezioni, ma per l’Italia la mia convinzione è che il sentiment pro-Europa stia aumentando”. C’è maggiore domanda, come mostrano anche i sondaggi dell’Eurobarometro ma manca l’offerta. “Diciamo che l’europeismo aumenta per la decrescente persuasività dei messaggi dei nostri due eroi. Vedendo la loro opera la gente apprezza meglio l’Europa, ma ci vuole un’offerta politica di un partito che avrebbe uno spazio enorme”.

 

Anche nel governo stanno riacquisendo influenza le personalità meno ostili all’Europa e con più senso della realtà, come Tria o Giorgetti. “Tria ha avuto il merito di sopportare perfino la derisione, ma alla fine ce l’ha fatta. Giorgetti è stato un efficacissimo ed entusiasta relatore dell’introduzione del pareggio di Bilancio in Costituzione, è una di quelle persone che ha visto da vicino l’arrivo della crisi del 2011”. Di Maio e Salvini invece no, forse ritengono davvero che si possa fare tutto per volontà politica. “Come quella pattuglia di ultimi giapponesi trent’anni dopo la fine della guerra, dentro la Lega ci sono ancora, silenziosi, vari anti euro che ancora vorrebbero uscire dall’euro e presiedono importanti commissioni parlamentari”. I due leader non hanno capito la crisi del 2011, non sono mai andati in prima persona a dialogare in Europa e quindi credevano davvero che fosse possibile fregarsene e tirare dritto. Ma forse ora qualcosa è cambiato. “Secondo me rimarrà nei due la colpevole volontà di massimizzare il consenso nei sondaggi, in un esercizio futile dannoso per il paese, quello resta il loro obiettivo, però nel farlo incorporeranno l’esperienza vissuta in queste ultime settimane’.

 

La strategia della minaccia di uscire dall’euro e far saltare il banco non ha funzionato. “Quell’idea implica una totale mancanza di conoscenza di quel mondo. Non funziona così e ne abbiamo la prova con la Brexit. Con tutto il rispetto per la Lega e il M5s, l’apparato amministrativo, diplomatico e politico di Sua Maestà britannica è un filino più collaudato, e neppure a loro è riuscito nulla. L’Europa è stata unita”. E c’è anche una possibile spiegazione. “Io ho una teoria dei tre stadi del potere dell’Ue rispetto agli stati membri – spiega Monti –. Il potere è molto alto quando uno stato si candida a entrare nell’Unione e nell’Eurozona, diminuisce quando lo stato è diventato membro e comincia a protestare e non rispettare le regole, ma poi –e basta guardare al caso britannico, greco e al tentativo virtuale italiano – il potere dell’Ue si rialza moltissimo se si minaccia di uscire”.

 

Questa strategia negoziale, di ricatto del debole, non paga ma di certo non facilita il processo di riforma dell’Europa. Così non si va avanti, nessuno si fida dei suoi partner. “L’Europa ha un problema di mancanza di fiducia tra i governi, da nord a sud e da est a ovest, che si è estesa ai popoli. L’Europa ha bisogno di grandissime modifiche nella struttura e nelle politiche. Ed è un peccato che la fantasia, il vigore e l’aggressività di questo governo non abbiano dato alcun contributo alla riforma dell’Eurozona. L’Italia assertiva non ha fatto uno straccio di proposta in questi mesi, a parte il pur interessante documento accademico di Savona. Tutta la forza è stata dedicata a un’operazione aggressiva a parole, ma difensiva nei fatti”. L’obiettivo era ottenere la concessione di più deficit. “Che però non vuol dire avere più soldi dall’Europa, ma essere autorizzati dall’Europa a gravare sugli italiani di domani”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali