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Sul crinale della decrescita

Redazione

Segnali di anno di stasi in cui imprese e famiglie tireranno il freno

Segnali di rallentamento dell’economia si moltiplicano in Europa e, con anticipo, si notano in Italia. Secondo la società Sentix, la fiducia degli investitori dell’Eurozona è calata a gennaio a meno 1,5 punti da meno 0,3, registrando il quinto mese consecutivo in flessione.

 

Gli ordini industriali tedeschi di novembre, pubblicati ieri, non sono incoraggianti; sono diminuiti dell’1,0 per cento. Perciò probabilmente è troppo ottimistico il dato sulla produzione industriale della Germania (più 0,3 per cento mese su mese) sempre a novembre. L’Italia, storicamente meno capace di recuperare degli altri paesi in periodi di crescita e più sensibile ai rallentamenti continentali, affronterà il 2019 avendo perso l’abbrivio dell’anno precedente. I dati Istat del terzo trimestre 2018, quindi fino a settembre, restituiscono un atteggiamento attendista e conservativo dei consumatori. Il reddito disponibile delle famiglie ha avuto un aumento modesto (più 0,1 per cento) – ma era stato più significativo nel trimestre precedente – e una inflazione in contenuto aumento ha determinato un calo del potere di acquisto (meno 0,2 per cento). E’ calata la propensione al risparmio (meno 0,2 per cento) che è andata a sostenere un lieve aumento dei consumi in beni finali (più 0,3 per cento), cioè quelli che soddisfano bisogni quasi immediati. La stasi dei consumi non è certo una novità, è però degno di nota il fatto che siano destinati in misura minore ai beni durevoli come le automobili (immatricolazioni calate del 3 per cento l’anno scorso). O in acquisto di abitazioni (previste in aumento ma a ritmi molto più blandi del resto d’Europa dove c’è stata ripresa) che sono investimenti. Questo, unito a un calo della fiducia alla fine dell’anno da parte di famiglie e imprese sull’andamento dell’economia, lascia presagire un periodo di bonaccia, più che di crescita, con sintomi recessivi che arrivano anche, ad esempio, dal rallentamento di settori di punta del manifatturiero, come la chimica-farmaceutica e l’abbigliamento. Oltre a una potenziale contrazione dei prestiti bancari. L’Italia è probabilmente di nuovo posizionata su una brutta china.

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