Marine Le Pen, leader del Rassemblement national (Rn), e Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise (Lfi) (Foto LaPresse)

Ecco la “convergenza delle rotatorie”, il flirt tra la Le Pen e Mélenchon

Mauro Zanon

Il sostegno ai gilet gialli e la possibile fusione anti-macroniana tra i due estremisti 

Parigi. L’hanno già ribattezzata “la convergenza delle rotatorie”, l’unione rossobruna che aspettava soltanto i gilet gialli e i loro picchetti sui ronds-points di Francia per emergere in tutta la sua evidenza. Jean-Luc Mélenchon, guru giacobino della France insoumise (Lfi), e Marine Le Pen, presidente del Rassemblement national (Rn), continuano a cercarsi, a flirtare a distanza, a scambiarsi ammiccamenti, approfittando della rivolta sociale che da tre mesi fa passare notti tormentate a Emmanuel Macron e alla macronia. L’alleanza che sembrava impossibile tra l’ex ministro di Lionel Jospin affascinato dal Venezuela e la paladina del sovranismo esagonale ora non lo è più, e la conferma è arrivata ieri in un’intervista rilasciata dalla Le Pen al settimanale Valeurs Actuelles. Alla rivista parigina, la presidente di Rn ha detto che i gilet gialli hanno “incontestabilmente” sottolineato “alcune convergenze” tra lei e Mélenchon, nonostante la loro distanza apparente sullo scacchiere politico.

 

Certo, la fusione tra mélenchonismo e lepenismo non è per dopodomani, ma è un messaggio molto chiaro quello della Le Pen: caro Jean-Luc, potremmo fare come i 5 Stelle e la Lega in Italia, unirci per andare al governo e mettere da parte per un attimo le nostre divergenze, perché in fondo le cose che ci legano sono maggiori rispetto a quelle che ci dividono. In realtà, come sottolineato dalla stessa Le Pen nell’intervista, i disaccordi sulla questione migratoria sono attualmente troppo grandi per sedersi a un tavolo e trattare, anche se Mélenchon ha il merito, secondo la leader sovranista, di non essere un ideologo immigrazionista come certi suoi compagni di partito. “Jean-Luc Mélenchon è sufficientemente intelligente da essersi fatto qualche domanda sul tema dell’immigrazione”, ha detto la leader di Rn a Valeurs Actuelles, riferendosi alle varie dichiarazioni del presidente di Lfi sulla necessità di un’immigrazione controllata. Ma dovrebbe fare di più, per la Le Pen. “La tentazione di staccarsi da questa ideologia immigrazionista ultraradicale gli è passata per la testa”, ha affermato la figlia di Jean-Marie Le Pen, “ma è bloccato” dalla struttura stessa di Lfi, composta da “goscisti”, da “comunitaristi” e “indigenisti”. “È per questo motivo che Jean-Luc Mélenchon non ha il coraggio di effettuare la rottura politica che sarebbe necessaria”, ha sottolineato la Le Pen. La “rupture politique” non è ancora possibile per il momento, ma nel futuro prossimo chissà.

 

E’ Mélenchon, sulla scia della Le Pen, a essersi detto contro il patto di Marrakech sull’immigrazione, a mettere in discussione il dogma della sinistra progressista secondo cui “l’immigrazione è un’opportunità per la Francia”, “dipende dai casi, dalle situazioni e dai momenti”, ha detto il tribuno giacobino. Ed è sempre Mélenchon che lo scorso settembre si è rifiutato di firmare un appello per accogliere i migranti lanciato dal giornale Mediapart, e sostenuto da Benoît Hamon (attuale presidente di Génération.s), Yannick Jadot (guida degli ecologisti di Eelv) e Ian Brossat (santino del Partito comunista francese). Sia nella sinistra socialista sia nel governo macronista, l’opinione diffusa è che Mélenchon abbia superato la linea rossa già da un po’ di tempo. A ottobre, il suo appoggio al governo populista italiano contro la Commissione europea fece dire al leader del Partito socialista Olivier Faure che c’era stato uno “strappo” definitivo tra Mélenchon e il campo del progressismo, perché “mai la sinistra della sinistra aveva sostenuto la manovra di un governo di estrema destra”.

 

E il suo attuale silenzio in merito agli attacchi alle istituzioni repubblicane lo mettono “sullo stesso piano di Marine Le Pen”, secondo Benjamin Griveaux, portavoce dell’esecutivo. C’è poi il suo “fascino” rivendicato verso Eric Drouet, rappresentante dell’ala oltranzista dei gilet gialli, che ha suscitato diversi dissapori anche all’interno di Lfi, come raccontato dal Monde. Ieri, il quotidiano parigino ha riportato le perplessità che dilagano all’interno del partito mélenchonista in seguito alle sue manifestazioni di simpatia verso le convergenze rossobrune e ai suoi clin d’oeil all’insurrezione di strada. Per quanto riguarda le prossime elezioni europee, dopo questi ultimi mesi, la strategia di Mélenchon resta incerta. Attualmente, è seduto accanto a Podemos e alla Linke nel gruppo Sinistra unitaria europea: un tetto dove a maggio, dopo lo scrutinio, potrebbero trovare rifugio anche i 5 Stelle.

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