L'imperatore del Giappone, Akihito, dopo la sua abdicazione prenderà il nome della sua èra, Heisel (qui il 2 gennaio scorso dal Palazzo Imperiale, foto di Toshifumi Kitamura/ Afp)

"Banzai! Lunga vita all'imperatore Akihito"

Giulia Pompili

È quello che tutti gridano al “sovrano celeste”, che abdica ad aprile ma che i giapponesi amano ancora

C’è un legame quasi carnale tra i giapponesi e la coppia di regnanti che attualmente siede sul Trono del Crisantemo. Un legame che va oltre la rigidissima etichetta a cui sono sottoposti i membri della famiglia imperiale del Giappone, che secondo la tradizione ha origine divina – concetto poi trasformato in qualcosa di ben più terreno dalla Costituzione del 1946. Sembra una contraddizione, ma è ciò che è riuscito a costruire con i giapponesi comuni Akihito, che ha da poco compiuto ottantacinque anni, specialmente negli ultimi anni del suo impero.

 

Nell’agosto nel 2016 Akihito, 125esimo tenno – “sovrano celeste”, titolo ufficiale con il quale ci si riferisce all’imperatore del Giappone – salito al trono nel 1989 dopo la morte del padre Hirohito, finì sui giornali di mezzo mondo per aver annunciato la sua abdicazione in favore del figlio Naruhito. Non succedeva da un paio di secoli che un imperatore abdicasse, e Akihito lo aveva annunciato per la più umana delle ragioni: sono vecchio, stanco, affaticato, voglio riposare. La potentissima Agenzia della Casa imperiale, che gestisce tutte le questioni relative alla famiglia del Trono del Crisantemo, custodisce la tradizione e di fatto amministra le cerimonie (anche economicamente), da allora vive momenti particolarmente frenetici: non c’è soltanto l’intronazione di Naruhito da organizzare, e non se ne organizza una da trent’anni, ma tutte le regole dell’abdicazione vanno riscritte, riviste – dovete immaginare un po’ quello che è accaduto in Vaticano quando Joseph Ratzinger annunciò le sue “dimissioni”.

 

Ma le preoccupazioni dei conservatori, più che altro, riguardavano l’immagine della Casa imperiale: cosa penseranno i sudditi, che già vivono questa istituzione come un antico e costosissimo carrozzone, e tra l’altro inutile, visto che secondo la Costituzione del Giappone, appunto, l’imperatore non ha alcun ruolo politico? Come fermare il desiderio di rinnovamento da parte dei giapponesi più progressisti che vedono nel Trono del Crisantemo il simbolo del Giappone imperiale e guerreggiante? Ecco dunque, il gran merito di Akihito: dall’ombra in cui era caduta la Casa imperiale durante il periodo della stagnazione economica, è riuscito a trasformare l’impero in un simbolo di pacifismo, mostrando e insegnando rispetto per le istituzioni, per i suoi cittadini – non più sudditi – grazie a una voce autorevole e confortante.

 

Akihito, che ha da poco compiuto ottantacinque anni, ha costruito con i giapponesi un rapporto quasi carnale

 Il 2 gennaio scorso ad assistere all’ultimo saluto di Capodanno di Akihito c’erano 154.800 persone. Un record, considerato che lo scorso anno erano state 126 mila, e due anni fa “soltanto” 96 mila, un trend in crescita negli ultimi anni, ma mai così sentito dalla popolazione. Un fiume di gente, che è arrivata prestissimo nel quartiere di Chiyoda di Tokyo, l’area centralissima dove si trovano il palazzo imperiale, la residenza della famiglia, la sede dell’Agenzia della casa imperiale e tutt’intorno gli splendidi giardini imperiali. Verso alle 10 e 10 del mattino, Akihito si è affacciato dal palco, protetto dal vetro, insieme agli altri membri della famiglia strategicamente disposti e l’uno distante dall’altro in egual misura: alla sua sinistra, come sempre, l’imperatrice Michiko, alla sua destra il principe Naruhito, l’erede al trono, e sua moglie, la principessa “triste” Masako. E poi schierati a sinistra c’erano Akishino, fratello di Naruhito e secondo nella linea di successione al Trono del Crisantemo, con la moglie Kiko e due dei suoi tre figli: c’erano infatti le sorelle Mako e Kako, ma non il dodicenne principe Hisahito, che è terzo nella linea dinastica perché unico maschio della nuova generazione del Trono.

 

Dopo aver salutato la folla, questo anziano signore, anche fisicamente piccolo, come la moglie, vestito in abiti occidentali e comunque elegantissimo, ha preso un biglietto e ha letto poche parole: “Sono davvero felice di celebrare il nuovo anno con tutti voi sotto questo cielo limpido”, ha detto, in un giapponese formalissimo, a volte perfino difficile da comprendere per chi non ha dimestichezza con la lingua, com’è da protocollo imperiale. “Spero che quest’anno si scoprirà un buon anno per più persone possibili. Iniziando questo nuovo anno, prego per la pace e per la felicità dei cittadini giapponesi e del mondo”. La famiglia imperiale è uscita sul balcone sette volte, “due in più di quanto previsto”, ha scritto il Mainichi shimbun, per farsi vedere da più persone possibile.

 

Quelle 154 mila persone davanti a loro, ma soprattutto davanti a lui, molte delle quali hanno fatto fino a tre ore e mezzo di coda per assistere a un saluto di dieci minuti, rappresentano oggi il più grande afflusso di cittadini comuni a un messaggio dell’imperatore sin dalla sua salita al Trono. Una ottantunenne della città di Okayama è stata accompagnata a Tokyo in sedia a rotelle dal figlio: “Volevo vedere la coppia imperiale per l’ultima volta”, ha spiegato al Mainichi. Una studentessa universitaria ha spiegato all’Afp di essere arrivata con la mamma per ricordare per sempre questo momento: “Vorrei dirgli che apprezziamo il suo duro lavoro per il paese”.

 

L’ultimo discorso in occasione del suo compleanno: il peso del ruolo di imperatore, il sollievo, e soprattutto il ringraziamento a Michiko

 Ma come ha fatto Akihito, cioè il capo di una istituzione imperiale, a trasformarsi nel garante della Costituzione nipponica, nel simbolo di un Giappone nuovo, pacifista, pacifico e soprattutto moderno, unendo cittadini diversi per età e fede politica? I conservatori lo amano e lo rispettano per quel che rappresenta, ma i giovani giapponesi? Ogni imperatore, in Giappone, corrisponde a una èra, secondo la scansione tradizionale del tempo. “Per esempio, nel 2019 siamo entrati nel 31° anno dell’èra Heisei (Heisei 31). La scelta degli ideogrammi che caratterizzano l’èra è delicata e richiede l’utilizzo di esperti che consultano i classici cinesi per trovarne di adeguati”, scrive Antonio Moscatello su Aska. I millennials giapponesi sono grati di essere nati nell’èra Heisei, quella della “pace ovunque”, perché dal 1989 – anno della salita al trono di Akihito – fino a oggi il Giappone non è stato mai in guerra. L’èra precedente, quella dell’imperatore Hirohito e dei conflitti, era l’èra Showa – quella del “Giappone glorioso”.

 

Il nuovo gengo, cioè il nome della nuova èra nipponica, verrà annunciata il 1° aprile prossimo. Lo ha reso noto nei giorni scorsi il primo ministro giapponese Shinzo Abe, che ha parlato ai giornalisti dal santuario di Ise, il suo preferito, che è anche il più importante della tradizione shintoista nipponica – nonché di quella frangia più conservatrice della politica giapponese. E quindi aprile sarà un mese cruciale, e storico, per il Giappone, che si prepara all’abdicazione. Tra le decine di riti che l’Agenzia imperiale e il governo stanno coordinando, alcuni sono rimasti fedeli in modo quasi rigoroso alla tradizione shintoista, che assegna per esempio alle donne un ruolo complementare, ma non uguale, a quello degli uomini. Altri, però, si stanno timidamente rinnovando, e per il Giappone bloccato dentro alle sue tradizioni e al suo passato, si tratta di rivoluzioni storiche. Per esempio il nome della nuova èra, comunicata prima dell’abdicazione e non contestualmente all’intronazione di Naruhito, è già uno strappo alla regola.

 

Ma ci sono altre ragioni per cui i giapponesi di oggi amano così tanto Akihito. La prima è che non ha nulla dell’uomo comune. Non possiede denaro, non possiede documenti, la famiglia imperiale è sottoposta a rigidissime regole di etichetta. Eppure sono stati proprio Akihito e Michiko a rompere alcuni protocolli. I viaggi – frequentissimi fino all’ultimo – in giro per il Giappone, per esempio, e le visite nei luoghi colpiti dalle catastrofi naturali: pochi giorni dopo l’Apocalisse del terremoto e del maremoto del Tohoku, nel 2011, la coppia imperiale era lì, a parlare con gli sfollati e a consolarli. A stringere mani, in teoria vietatissimo. E secondo i suoi biografi ogni volta che il Giappone subisce la furia della natura è lui, personalmente, a interessarsi del recupero delle aree colpite. Un attivismo che mai si era visto prima. Akihito ogni anno pianta il riso, il cibo più sacro per la tradizione nipponica, con le sue mani, e non esistono di lui selfie, perché a nessuno è concesso di avvicinarsi.

 

Compone versi di poesia waka – 31 sillabe divise in 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe – una delle attività più tradizionali per la coppia imperiale, versi che poi vengono pubblicati in occasioni particolari (una delle più recenti, scritta durante il viaggio nella prefettura di Okinawa, dice più o meno: “Così tante persone / Agitano le loro lanterne di carta / Uniti insieme / Abbiamo agitato le nostre lanterne di nuovo / Di notte a Okinawa). E’ stato Akihito che, velatamente, e pur non avendo nessun ruolo politico, ha tirato le orecchie al governo conservatore di Shinzo Abe che voleva mettere mano alla Costituzione nipponica e modificare soprattutto l’articolo 9, quello che proibisce a Tokyo di avere un esercito regolare. Garante della Costituzione. E garante anche dello studio e della cultura: l’attuale imperatore del Giappone è infatti uno dei massimi esperti al mondo di ghiozzi, intesi proprio come pesci (suo padre, Hiroito, era invece un esperto di meduse).

 

Ebbe un’educazione quasi anglosassone, grazie alla sua insegnante privata Elizabeth Gray Vining, studiò per un po’ Scienze politiche, ma poi decise che la sua passione era l’ittiologia. Si è specializzato nella tassonomia dei ghiozzi, cioè nella loro classificazione, visto che ne esistono centinaia di tipi, e nello studio del codice genetico dei pesci. Ha pubblicato sui più autorevoli giornali scientifici, contribuito a scoprire almeno cinque specie diverse, e nel 2007 un ricercatore gli ha dedicato un tipo di ghiozzo, che porta il nome di Exyrias Akihito. E poi gioca a tennis: il tennis gli ha dato l’amore – Michiko l’ha conosciuta proprio durante un torneo, e lei era una donna senza sangue blu, e lui l’ha corteggiata e sposata lo stesso – ma ha anche battuto un paio di volte George H. W. Bush sul campo (una volta era il 1992, lo stesso giorno in cui poi, Bush, vomitò sulle gambe del primo ministro giapponese Kiichi Miyazawa).

 

Durante la sua ultima, tradizionale conferenza stampa in occasione del suo compleanno il 23 dicembre scorso (una festività che si celebra in tutto il mondo, anche nelle ambasciate all’estero), e non a caso, forse, pochi giorni prima del discorso storico di un altro anziano signore garante della Costituzione, il nostro presidente Sergio Mattarella, Akihito ha fatto il suo discorso più politico –, a favore dell’immigrazione e per un Giappone pacifico. “Si avvicina il giorno della mia abdicazione”, ha detto Akihito. “Da quando sono salito al trono, ho trascorso le mie giornate alla ricerca di quello che dovrebbe essere il ruolo dell’Imperatore che è designato per essere il simbolo dello Stato dalla Costituzione del Giappone.

 

154 mila persone hanno atteso per ore in coda all’ingresso del Palazzo imperiale, lo scorso 2 gennaio, per salutarlo l’ultima volta

Intendo svolgere i miei compiti in quella veste e continuerò a contemplare questa domanda mentre svolgo i miei doveri quotidiani fino al giorno della mia abdicazione. La comunità internazionale, dopo la Seconda guerra mondiale, fu caratterizzata da una divisione tra est e ovest, e quando il Muro di Berlino cadde nell’autunno del primo anno di Heisei (il 1989), segnando la fine della Guerra Fredda, la speranza era che il mondo potesse accogliere un momento di pace. Tuttavia, i successivi sviluppi globali non sono andati necessariamente nella direzione che volevamo. Mi duole il cuore che si siano verificati conflitti etnici e religiosi, che numerose vite siano state perse per atti di terrorismo e ancora oggi in tutto il mondo un gran numero di rifugiati viva vite difficili. […]

 

Da quando il Giappone è entrato nell’èra Heisei, abbiamo vissuto anni cardine come il 50esimo, il 60esimo e il 70esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Ho creduto che fosse importante non dimenticare le innumerevoli vite perdute durante la guerra e che la pace e la prosperità del Giappone del Dopoguerra furono fondate sui numerosi sacrifici e gli instancabili sforzi fatti dal popolo giapponese, ed è importante trasmettere questa storia con precisione a quelli nati dopo la guerra. Mi dà profondo conforto che l’èra Heisei stia volgendo al termine, libera dalla guerra in Giappone. […] Quest’anno ha coinciso con i 150 anni dall’inizio dell’emigrazione giapponese all’estero. Nel corso degli anni, i giapponesi che emigrarono hanno continuato a lavorare duramente, con l’aiuto delle persone nei loro nuovi paesi insediati, e hanno iniziato a svolgere ruoli importanti nelle società locali. Pensando agli sforzi di quelle persone di discendenza giapponese, abbiamo deciso di incontrarli il più possibile durante la visita di quei paesi. Nel frattempo, negli ultimi anni molti cittadini stranieri sono venuti a lavorare in Giappone.

  

Quando l’imperatrice e io abbiamo visitato le Filippine e il Vietnam, abbiamo incontrato persone che lavorano duramente e hanno come obiettivo quello di lavorare in Giappone un giorno. Tenendo presente che il popolo degli antenati giapponesi vive come membri attivi della società con l’aiuto delle persone nei loro rispettivi paesi, spero che i giapponesi possano accogliere calorosamente come membri della nostra società coloro che per lavoro vengono qui in Giappone. Allo stesso tempo, il numero di visitatori internazionali in Giappone aumenta di anno in anno. Spero che questi visitatori vedano il Giappone con i loro occhi e approfondiscano la loro comprensione del nostro paese, e che la buona volontà e l’amicizia saranno promosse tra il Giappone e altri paesi”.

 

L’imperatore non ha alcun ruolo politico, ma Akihito ha voluto essere il garante della Costituzione pacifista

 E poi, infine, su Michiko: “Nell’aprile del prossimo anno, l’Imperatrice e io celebreremo il 60° anniversario del nostro matrimonio. L’Imperatrice è sempre stata al mio fianco, ha compreso i miei pensieri e mi ha supportato nella mia posizione e nei miei compiti ufficiali mentre svolgevo i miei doveri di Imperatore. Ha anche mostrato una grande devozione verso la mia famiglia e ha cresciuto i nostri tre figli con profondo affetto. Guardando indietro, subito dopo aver intrapreso il viaggio della mia vita come membro adulto della Famiglia imperiale ho incontrato l’Imperatrice. Avvertendo un legame di profonda fiducia, le ho chiesto di essere la mia compagna di viaggio e ho viaggiato con lei come mia compagna fino a oggi. E mentre sono in arrivo alla fine del mio viaggio come Imperatore, vorrei ringraziare dal profondo del mio cuore le molte persone che hanno accettato e continuato a sostenermi come il simbolo dello Stato. Sono anche davvero grato all’Imperatrice, che una volta era una persone comune, ma che ha scelto di percorrere questa strada con me, e in oltre sessanta lunghi anni ha servito con devozione sia la Famiglia Imperiale sia il popolo del Giappone”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.