Israeliani alzano la bandiera nazionale mentre ispezionano il danno in una casa causato dai razzi sparati dalla Striscia di Gaza, nella città di Ashkelon, il 13 novembre 2018 (foto LaPresse)

Missili su Israele

Rolla Scolari

Così Netanyahu prova a fermare a Gaza quella che secondo lui è una “guerra non necessaria”

Milano. Quattrocento missili di Hamas su Israele, raid dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, proposte di trattative e nuove minacce. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha definito lo scontro “una guerra non necessaria”, ma ha molte pressioni da parte dei suoi alleati di governo. E la crisi umanitaria a Gaza è molto grave. 

  

Lo schema si ripete da mesi, ogni volta che Israele e Hamas sono sull’orlo di una guerra. L’intensità degli attacchi aerei israeliani non si placa, centinaia di razzi continuano a essere lanciati da Gaza su Israele. E intanto, sia da una parte sia dall’altra si accenna a un possibile cessate il fuoco.

 
Così oggi, mentre le brigate Ezzedine al Qassam, braccio armato del gruppo islamista che controlla Gaza dal 2007, minacciavano più profondi attacchi contro Ashdod e Beer Sheva, il leader di Hamas Ismail Haniyeh segnalava l’interesse del movimento a trattare: la cessazione del lancio di missili contro la fine dei raid aerei. Dall’altra parte, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva già detto di voler evitare una “guerra non necessaria”, anche se su di lui aumenta la pressione degli alleati politici della destra più radicale per trovare una soluzione militare ai cicli di violenza a Gaza. Il suo gabinetto per la sicurezza nazionale, dopo un incontro d’emergenza durato sei ore, ha dato martedì indicazione all’esercito di continuare gli attacchi, e fatto sapere allo stesso tempo di cercare la via del negoziato, attraverso la mediazione di Nazioni Unite ed Egitto.

 

Nell’attesa di risultati concreti nelle trattative, cresce il numero delle vittime. Da domenica a martedì pomeriggio, secondo l’esercito israeliano 400 razzi sarebbero stati lanciati su Israele da Gaza, cento intercettati dal sistema antimissilistico Iron Dome. L’aviazione israeliana ha colpito oltre cento obiettivi nella Striscia. In Israele, nella città costiera di Ashkelon, un lavoratore palestinese della Cisgiordania è rimasto ucciso quando un razzo ha colpito l’edificio in cui si trovava, mentre due vittime martedì a Gaza hanno portato il bilancio dei raid israeliani a sette morti, tra cui cinque miliziani delle fazioni armate palestinesi.

  

L’ultimo ciclo di violenze è stato innescato domenica da un’azione delle forze speciali israeliane nella Striscia andata male, sventata da Hamas. Sette palestinesi e un ufficiale israeliano sono rimasti uccisi.

  

Da quando Hamas è al potere a Gaza, ci aveva spiegato ad agosto, l’ultima volta che la Striscia sembrava sull’orlo di un conflitto, l’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, “Israele sostiene di arginare Hamas, con la deterrenza. Hamas sostiene di usare i razzi per difendersi. Viviamo in una deterrenza reciproca da oltre dieci anni. Nessuna delle due parti vuole pagare il prezzo di mettere fine a questa deterrenza. Hamas non è pronto a una guerra totale contro Israele, e Israele non è pronto a terminare il controllo di Hamas sulla Striscia, perché significherebbe prendersi la responsabilità di quasi due milioni di palestinesi che a Gaza vivono in una situazione terribile”. Non è un caso che proprio pochi giorni fa, 15 milioni di dollari provenienti dal Qatar abbiano riempito le casse delle autorità di Gaza per il pagamento dei funzionari pubblici. Il presidente palestinese Abu Mazen, che controlla la Cisgiordania ed è rivale politico degli islamisti, ha in parte tagliato il flusso di danaro pubblico che, nonostante la divisione politica tra Autorità palestinese a Ramallah e Hamas a Gaza, continuava ad arrivare nella Striscia. I 15 milioni sarebbero parte di una donazione di 90 milioni del Qatar da versare in sei mesi con approvazione di Israele, che in passato ha bloccato somme in arrivo dal Golfo. L’aiuto finanziario del piccolo emirato avrebbe contribuito, assieme alla mediazione egiziana, ad arginare in queste settimane le tensioni lungo il confine, dove per mesi da marzo la popolazione si è riversata ogni venerdì in protesta contro Israele.

  

Sebbene Hamas riceva soldi dal Golfo, ci spiega Tareq Baconi, dello European Council on Foreign Relations e autore di “Hamas Contained: The Rise and Pacification of Palestinian Resistance”, il gruppo non ha appoggi paragonabili a quelli che Bashar el Assad ha in Siria da Iran e Hezbollah. E’ sempre più isolato. In Israele, scrive il quotidiano liberal Haaretz, “il pubblico e i media esprimono crescenti preoccupazioni per l’erosione della deterrenza israeliana nei confronti di Hamas”, e fanno pressioni sul premier che, con le elezioni politiche del 2019 in avvicinamento, non è interessato a un conflitto. Hamas è nello stesso dilemma: una nuova guerra porterebbe devastazione a Gaza e un malessere sociale incontrollabile per la leadership interna. Dall’altra parte, però, il gruppo non vuole apparire arrendevole, per preservare la propria deterrenza.

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