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In Israele la convivenza è fragile, il terrore vince

Redazione

Qual è il significato dell’ultimo attentato nel parco industriale di Barkan, in Samaria. Il problema della cultura del martirio alimentata tanto dall’Autorità palestinese quanto dalle organizzazioni jihadiste islamiste, secondo il Jerusalem Post

Il terrorista che ha compiuto l’attentato di domenica scorsa nel parco industriale di Barkan, in Samaria (Cisgiordania settentrionale), ha ucciso due israeliani – Ziv Hajbi, 35enne padre di tre figli, e Kim Levengrond-Yehezkel, 28enne madre di un bimbo di un anno – e ha ferito un’altra ebrea israeliana, Sara Vaturi, di 54 anni. L’aggressore è stato identificato come Ashraf Walid Suleiman Na’alwa, di 23 anni, originario del villaggio di Shuweika, vicino alla città di Tulkarm, in Cisgiordania. Molti hanno sottolineato che l’attentato, oltre alle dolorose vittime umane, ha causato un’altra vittima: la pacifica coesistenza per la quale era ben noto in Israele il parco industriale di Barkan, vicino alla città di Ariel. Quello di domenica è stato il primo attentato mai effettuato in quel parco industriale da quando venne istituito, nel lontano 1982. Si tratta di un’area industriale che ospita 164 industrie e dà lavoro a più di 7.000 persone, compresi 4.200 arabi palestinesi. La fabbrica dove Na’alwa aveva lavorato per alcuni mesi, e dove ha effettuato l’attacco, impiega 250 lavoratori palestinesi. Come ha notato Tovah Lazaroff sul Jerusalem Post, “situato su una collina, il parco industriale di Barkan è uno dei gioielli della regione di Samaria e un simbolo per i suoi abitanti e lavoratori della pace economica che auspicano di poter avere con i vicini palestinesi”.

 

L’attentato a Barkan mostra la fragilità della convivenza. Dall’altro canto, Barkan dimostra anche che tale coesistenza esiste da anni e che è possibile come concreta realtà quotidiana. Migliaia di palestinesi sono titolari del permesso di lavoro nelle aree industriali israeliane. Ogni attentato terroristico come quello di domenica solleva interrogativi sul loro ingresso, e certamente induce le autorità e i cittadini israeliani a chiedersi se e come sia possibile incrementare il numero di palestinesi autorizzati a lavorare nelle imprese israeliane. L’attentatore conosceva molto bene la routine delle procedure di sicurezza del parco industriale e della fabbrica. Le guardie di sicurezza del luogo, citate da radio  Kan, hanno sottolineato che è quasi impossibile effettuare minuziosi controlli di sicurezza sulle migliaia di lavoratori palestinesi che attraversano ogni giorno i cancelli, anche quando s’accende una spia nei metal detector. In buona parte il problema sta nella cultura del martirio che viene alimentata tanto dall’Autorità palestinese quanto dalle organizzazioni jihadiste islamiste. Data la politica dell’Autorità palestinese di stipendiare gli assassini di ebrei, alla sua famiglia verrebbe automaticamente garantito un vitalizio, cosa che non può che incoraggiare altri palestinesi a compiere attentati anche se non appartengono formalmente a un’organizzazione terroristica. Come ha affermato Edelstein, “la risposta più appropriata all’attacco assassino di Barkan è continuare a sviluppare e rafforzare le zone industriali congiunte: non permetteremo a questi odiosi terroristi di pregiudicare la pacifica convivenza”. Giusto. Ma perché ciò accada, anche la società palestinese dovrebbe fare la sua parte e prendere una posizione netta e coraggiosa contro gli attentati e gli attentatori che colpiscono e danneggiano anch’essa, e non solo Israele”.

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