Avigdor Lieberman (foto LaPresse)

Perché Lieberman si è dimesso

Rolla Scolari

Il ministro della Difesa israeliano lascia l’incarico, le elezioni anticipate potrebbero essere più vicine. La storia del suo rapporto con Netanyahu e la crisi irrisolta a Gaza

La campagna elettorale in Israele è iniziata oggi, con le dimissioni a sorpresa di Avigdor Lieberman. Ci sono Gaza e il cessate il fuoco raggiunto nelle scorse ore con il gruppo palestinese Hamas, che controlla la Striscia, dietro la scelta del ministro della Difesa, che ha definito la tregua raggiunta dal premier Benjamin Netanyahu contro le pressioni dei suoi stessi alleati politici una “capitolazione al terrore”. Così, il voto politico in programma a novembre 2019 potrebbe esser anticipato alla primavera, inserendo nell’agenda elettorale una questione che il primo ministro tenta di lasciare fuori dal dibattito: Gaza e il conflitto con Hamas. Assieme alla dimissioni, Lieberman ha annunciato il ritiro dei suoi deputati dalla coalizione al governo.

 

Siamo già entrati nell’anno elettorale, e se i temi della campagna sembravano essere già sul tavolo – i guai o non guai giudiziari di Netanyahu, la politica economica e sociale del governo, l’Iran o i nuovi e inaspettati rapporti di Israele con alcuni Paesi del Golfo Persico – è evidente che per alcuni politici gli argomenti elettorali sono altri, ci spiega Sefy Hendler, editorialista del quotidiano israeliano liberal Haaretz e professore all’università di Tel Aviv: “Per Lieberman, l’unica bandiera possibile è quella della sicurezza, quella di Gaza e Hamas”. Il politico, leader e fondatore del partito Yisrael Beiteinu, “è stato forse uno tra i ministri della Difesa più deboli della storia del paese”. Il suo spazio di manovra è stato limitato nel tempo da un premier con cui, sulla questione di Gaza e sulla necessità di un intervento armato contro il movimento islamista Hamas, si è sempre scontrato. Un esempio del difficile rapporto è stata la recente nomina del capo di Stato Maggiore designato, Aviv Kochavi. In seguito a settimane di attriti tra ministro della Difesa e premier sulla scelta di un candidato, dopo aver trovato un accordo su Kochavi, Lieberman non ha aspettato il ritorno di Netanyahu dal suo storico viaggio in Oman per fare un annuncio congiunto (i più maliziosi dicono anche per mettere in ombra la notizia dell’inedita visita del premier nel Golfo).

 

In un momento in cui non soltanto gli alleati della destra più radicale all’interno della coalizione del primo ministro chiedevano una risposta più muscolare nei confronti dei lanci di missili di Hamas da Gaza, ma anche una parte dei media e dell’opinione pubblica, stanca di mesi di instabilità nelle regioni meridionali al confine con la Striscia e nelle città costiere del Sud, le dimissioni di Lieberman appaiono come una mossa politica ben pianificata. Le fotografie delle valigie piene di dollari in arrivo a Gaza dal Qatar e l’aperto sostegno del governo israeliano a oltre 15 milioni di finanziamenti in arrivo dal Golfo per permettere alle autorità della Striscia di pagare i salari dei funzionari pubblici sono stati un colpo per il primo ministro davanti all’opinione pubblica. Ora è Lieberman a dettare l’agenda politica del premier, che resta con una maggioranza risicata, 61 seggi su 120.

 

L’obiettivo del ministro della Difesa uscente non è una sfida diretta a Netanyahu. Quando era all’opposizione, Lieberman diceva che, se ci fosse stato lui alla Difesa, il leader di Hamas Ismail Haniyeh sarebbe “stato ucciso nel giro di 48 ore”. E’ lui ora che esce di scena e le sue dimissioni sono per Hamas “una vittoria politica per Gaza”. Il suo partito Yisrael Beiteinu ha faticato a entrare alla Knesset, il Parlamento israeliano: ha sei seggi e lo sbarramento elettorale è ora di quattro. In un paese dove il voto russo su cui si è costruito Lieberman – nato e cresciuto nell'ex repubblica sovietica della Moldavia – si sta diluendo, il ministro della Difesa, spiega Hendler, punta alla sopravvivenza, lotta contro l’irrilevanza politica e tenta di smuovere in suo favore gli equilibri politici.

  

Benjamin Netanyahu potrebbe dunque essere costretto a elezioni anticipate, non secondo i termini da lui prescelti, e dopo che il suo soprannome di Mr. Sicurezza è stato messo in dubbio. Tra l’altro, uno dei più credibili candidati alla poltrona che lascia vacante Lieberman è un altro alleato-rivale: quel Naftali Bennett che pure si oppone alla linea del premier su Gaza e fa pressioni per un intervento armato.

 

La fama del primo ministro è quella di uno stratega capace di stupire in quanto a sopravvivenza politica, soprattutto in un quadro in cui, sia a destra sia a sinistra sembrano mancare figure alternative realmente capaci di reggere la sfida (nell’area del suo partito, si è spesso parlato di Gideon Saar o del ministro dei Trasporti Yisrael Kats, fuori dell’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz). Eppure, si chiede Sefy Hendler, “chi dopo Menachem Begin conosceva Yitzhak Shamir? Chi credeva ad Ariel Sharon dopo Ehud Barak? O a Ehud Olmert dopo Sharon? Il sistema politico israeliano, con tutte le sue mancanze, ha sempre saputo creare leader”.