Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

Trump raddoppia le sanzioni alla Turchia e fa traballare il sultano

Eugenio Cau

Erdogan telefona a Putin e attacca gli americani: "Loro hanno i loro dollari, noi abbiamo il nostro popolo"

Roma. A leggere i giornali locali, non sembra che la Turchia sia davanti alla più grave crisi valutaria della sua storia, un momento esiziale per la sua economia. Per molti giorni, questa settimana, le prime pagine sono state occupate da visite ufficiali ed eventi formali; poi, quando la crisi è diventata troppo grossa per essere ignorata, i media turchi si sono riempiti di rivendicazioni bellicose del presidente Recep Tayyip Erdogan e di notizie economiche che cercavano di apparire quanto meno positive. Venerdì la versione inglese di Sabah, giornale filogovernativo, apriva con la notizia lieta che la lira turca avrà una riscossa fenomenale, ma nei prossimi 12 mesi. Nel testo dell’articolo, uno degli esempi citati era l’Argentina, non proprio rincuorante.

 

 

L’addomesticamento delle notizie dei media governativi (che ormai sono tutti i media, visto che il governo ha fatto chiudere tutti i giornali e le tv di opposizione che avessero una qualche rilevanza) è sintomo del fatto che, per resistere alla crisi, Erdogan è entrato in campagna permanente. I suoi discorsi pubblici sono più rabbiosi che mai. Giovedì ha detto, rivolto agli americani: “Loro hanno i loro dollari, noi abbiamo il nostro popolo, il nostro Dio”; venerdì, in un discorso che ha fatto rabbrividire gli analisti finanziari, ha annunciato una “lotta nazionale” e ha invitato tutti i turchi che possiedono oro o valute straniere a convertirli in valuta nazionale e ha dichiarato che è in corso una “guerra economica” in cui il paese deve sconfiggere “i boia dell’economia”. Negli ultimi mesi, mentre la lira perdeva il 27 per cento del suo valore a causa della scriteriata politica economica del governo, la domanda che gli analisti si ponevano su Erdogan era: la crisi valutaria danneggerà il presidente turco? La vittoria elettorale dello scorso mese pareva indicare il contrario. Ma via via che la situazione peggiorava, la domanda è diventata: la crisi potrebbe essere fatale per Erdogan? Il presidente turco si sta preparando alla possibilità che la crisi, che per ora si è giocata soprattutto sui mercati, possa far sentire i suoi effetti tangibili e dannosi sulla vita quotidiana dei suoi cittadini, ed è per questo che ha messo la briglia ai media e ha aumentato la dose di nazionalismo vittimista nei suoi discorsi.

 

L’intervento di Donald Trump, che venerdì ha annunciato su Twitter il raddoppiamento delle sanzioni per acciaio e alluminio “nei confronti della Turchia” – misura ad hoc legata al fallimento dei negoziati per la liberazione del pastore americano Andrew Brunson, prigioniero da quasi due anni – non potrà che dare nuovi argomenti a Erdogan: visto? c’è una congiura contro di noi.

  

 

La Turchia è un grande esportatore di acciaio e alluminio verso gli Stati Uniti e la mossa di Trump può essere molto dannosa in un momento già critico: pochi minuti dopo il tweet trumpiano, la lira è crollata a un nuovo minimo storico. A nulla è servito l’intervento del ministro delle Finanze, Berat Albayrak, che ha promesso un “nuovo modello economico” per il paese in un discorso che si è tradotto tuttavia in una serie di promesse fumose per mantenere la crescita economica al 3-4 per cento e ridurre l’inflazione a cifra singola. Sul piano internazionale, la crisi sta allontanando sempre di più la Turchia dai suoi alleati storici. Venerdì, mentre Trump twittava sanzioni, Ankara si premurava di far circolare la notizia di una telefonata tra Erdogan e il suo omologo russo Vladimir Putin, per parlare non di Siria, come abituale, ma dello stato degli affari economici. Negli scorsi giorni Erdogan ha citato innumerevoli volte la Cina come “alternativa” ai rapporti commerciali con gli Stati Uniti, e a inizio settimana i giornali hanno dato molto risalto perfino alla visita del ministro dell’Industria del Venezuela. Una specie di galleria di partner anti occidentali, che possono contribuire a velocizzare la trasformazione della democrazia illiberale turca in dittatura.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.