Horst Seehofer e Angela Merkel (foto LaPresse)

Perché la sfida della Csu alla Merkel si è smorzata (c'entra la paura)

Marco Cecchini

Due chiacchiere con Katja Leikart, vicepresidente del gruppo Cdu/Csu, sul futuro dell’Unione e l’immigrazione

Berlino. A dispetto di tutti coloro che la vorrebbero ritirata a vita privata nel suo appartamento con vista sulla Museum Insel, Angela Merkel sembra avere superato la fase più acuta della crisi politica interna e ripreso la guida della coalizione formata dopo le elezioni dello scorso settembre. Negli ambienti della cancelleria c’è “fiducia” nel fatto che le tensioni sull’immigrazione che hanno terremotato l’alleanza Cdu/Csu si stempereranno sull’onda del compromesso raggiunto tra la stessa cancelliera e il suo ondivago ministro dell’Interno e leader della Csu, Horst Seehofer. Anche in Europa, si pensa, alla fine l’interesse a cooperare prevarrà su quello a dividersi. Peraltro le “bizze”, come le ha definite la stampa tedesca, di Seehofer non sembrano finora avere portato fortuna al leader dei cristianosociali il cui partito ha perso punti nei sondaggi a livello sia nazionale sia locale secondo quanto riferiscono gli stessi mezzi d’informazione. Frau Merkel, in altre parole, è oggi forse un po’ più sola nella Germania e nell’Europa percorse dai venti del populismo. Ma l’ombra del declino, evocata da larghi pezzi della stampa internazionale, resta per ora, nonostante tutto, una semplice proiezione.

 

Katja Leikart, 43enne vicepresidente del gruppo della Cdu/Csu al Bundestag, studi negli Stati Uniti e una carriera fulminante nel partito dell’Unione cristianodemocratica, la mette così conversando con il Foglio: “Il populismo prospera dove i cittadini cessano di credere nella competenza dei partiti politici per risolvere i problemi. Ma la politica è più complessa di quanto i populisti vogliono far credere con i loro slogan. Loro agitano lo spettro della paura in Europa. Per combatterli devi parlare con la gente e spiegare che cosa stai facendo e perché. E’ difficile e faticoso, ma funziona”. Quanto alla congiuntura politica interna, “la collaborazione tra Cdu e Csu è stata il motore dei traguardi raggiunti dalla Germania negli ultimi 70 anni. E’ una storia di successo. Naturalmente questi due partiti sono anche espressione delle diversità culturali e politiche del nostro stato federale e a volte ciò rende difficile raggiungere un compromesso tra loro, ma il compromesso alla fine arriva come è accaduto anche questa volta e ciò contribuisce ad allargare la base di consenso e rafforzare il governo del paese e il suo sistema democratico”. Ottimismo (prudente) sulle prospettive interne dunque, e un richiamo a moltiplicare i contatti con la base degli elettori, un esercizio questo meno arduo che altrove in Germania dato che i politici vengono quasi tutti da precedenti esperienze nei Länder.

 

 

In un paese per molti versi di solidità granitica, la questione dell’immigrazione resta tuttavia la macchia che rompe l’armonia del quadro. E da questo punto di vista la cancelliera dovrà ricorrere a tutte le sue doti di mediatrice per garantire la stabilità politica del paese. “Tecnicamente – spiega l’editorialista del quotidiano Der Tagesspiegel Anna Sauerbrey – la crisi migratoria in Germania è superata: nel 2015 le strutture dello stato erano sopraffatte dal fenomeno, oggi non più e le richieste di asilo scese a 68 mila contro il picco di 715 mila del 2016 lo dimostrano”. La realtà percepita è diversa tuttavia. E la questione migratoria resta una potente arma propagandistica nelle mani della destra di Alternative für Deutschland in vista delle elezioni di ottobre in Baviera che tanto preoccupano la Csu. Come ha ricordato il presidente Frank-Walter Steinmeier in una recente intervista a tutto campo alla Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), l’immigrazione “è e resterà tra noi”. Secondo Leikert, “non dobbiamo stancarci di ricordare i successi ottenuti su questo fronte; il numero dei migranti che attraversano il Mediterraneo per esempio è diminuito del 95 per cento rispetto al picco del 2015. Naturalmente c’è ancora da lavorare: a livello europeo, occorre rafforzare Frontex per proteggere il sistema di Schengen tenendo aperti i confini interni e migliorare la cooperazione tra gli stati membri; a livello nazionale occorre accelerare le procedure di asilo e assicurare che chi non ha i requisiti per l’asilo lasci rapidamente il paese”. La Germania resta comunque un paese che anche grazie a quella che Steinmeier definisce una “lunga e faticosa elaborazione sul proprio passato” possiede una buona dotazione di anticorpi contro l’estremismo. Questo è bandito dalla Costituzione e monitorato da numerose istituzioni pubbliche (l’intelligence con la sua specifica sezione) e private (per esempio l’Hanna Arendt Institut) che fanno del paese una vigilante democrazia militante. Nell’intervista alla Faz il presidente della Repubblica ha stigmatizzato lo scontro sull’immigrazione all’interno della coalizione e l’uso di parole irresponsabili nel dibattito politico, perché le parole irresponsabili conducono a “fatti irresponsabili”. Ma Steinmeier ha ricordato anche la grande ripulsa dell’opinione pubblica quando Björn Höcke, uno dei leader di Afd, ha definito “una vergogna” il Memoriale all’Olcausto nel centro della capitale: “La maggioranza dei tedeschi non si riconosce nelle posizioni degli estremisti”. E intanto Angela Merkel resta alla cancelleria.