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Il dramma di un'Europa a dux velocità

Claudio Cerasa

Si scrive Schengen, si legge libertà. Perché i muri dei sovranisti possono distruggere l’Europa prima ancora dell’Euro

Dux è una parola latina che fotografa la presenza sul campo di un comandante politico pronto a usare un piglio autoritario per difendere il suo popolo dai nemici della patria. Dux deriva dal verbo ducere, ovvero guidare, e pur essendo stato un termine usato nel passato da una moltitudine diversa di soggetti politici, non solo Benito Mussolini, è la parola giusta per inquadrare i nuovi condottieri dell’Europa, che dall’alto dei propri ideali sovranisti guidano i popoli con il piglio dei capi tribù. L’Europa sovranista, nazionalista, populista e protezionista rappresentata in modo plastico al governo dai Matteo Salvini, dai Luigi Di Maio, dai Viktor Orbán, dai Sebastian Kurz, dagli Andrzej Duda, dagli Horst Seehofer e all’opposizione dalle Marine Le Pen e dai Geert Wilders è un’Europa che sta costruendo la sua identità mostrando il lato duro del proprio volto sul tema dell’immigrazione. Ma per quanto possano essere criticabili in Europa le posizioni degli amici del governo Salvini-Di Maio in questo gruppo di nuovi ducetti c’è solo un paese che quando si parla di immigrazione non potrebbe permettersi di essere sovranista e quel paese sfortunatamente per Matteo Salvini e Luigi Di Maio si chiama proprio Italia.

     

La ragione per cui – sull’immigrazione e non solo – la mera sommatoria degli interessi nazionali non fa mai un interesse comune è che le traiettorie dei sovranisti alleati con l’Italia hanno tutte un’unica finalità inconfessabile: trasformare il nostro paese nell’imbuto dell’immigrazione. E’ per questo che i sovranisti europei lavorano ogni giorno per rendere l’Europa un po’ meno solidale sui migranti. E’ per questo che i sovranisti europei lavorano ogni giorno per rendere gli stati membri più sovrani quando si parla di migranti. E’ per questo che i sovranisti europei non mostrano particolare preoccupazione quando lasciano intendere di essere pronti a sospendere un trattato (Schengen) che dal 1985 ha contribuito a trasformare lo spazio di ventisei paesi europei in una zona di libera circolazione senza controlli alle frontiere, salvo appunto circostanze eccezionali. Per nazioni come l’Ungheria, come l’Austria, come la Polonia, e se vogliamo anche come la Baviera, immaginare di sospendere o di demolire Schengen con la ruspa del sovranismo, e non per circostanze eccezionali, potrebbe essere un problema da molti punti di vista, in primis dal punto di vista economico, ma potrebbe non essere un problema dal punto di vista della gestione dei migranti: chi non ha frontiere sul mare, le frontiere le può chiudere, e i problemi semmai arrivano per chi affacciandosi sul mare le frontiere non le può chiudere. A questo punto del nostro ragionamento avete forse capito dove vogliamo arrivare: ma se mettiamo da parte l’ingenuità politica, la non esperienza nelle negoziazioni, l’incapacità a mettere a fuoco l’interesse nazionale, come si può spiegare razionalmente il fatto che il governo italiano abbia scelto di mettersi in scia a tutti i paesi che per difendere la propria sovranità sono disposti a scaricare proprio sull’Italia un problema come quello dell’immigrazione che non può essere solo dell’Italia?

   

Ieri pomeriggio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha giustamente ricordato che “da metà del 2017 a metà del 2018 gli arrivi attraverso il Mediterraneo in Italia sono diminuiti dell’85 per cento” e che questo dato “dovrebbe consentire a tutti i governi, come loro responsabilità, di agire con razionalità senza cedere all’emotività”. Eppure, a trenta giorni dal suo insediamento, il governo che potrebbe contribuire a trasformare l’Europa in una fortezza in cui l’emotività conta più della razionalità (davvero abbiamo trasformato in un’emergenza una non emergenza per vincere un ballottaggio a Siena?) è proprio quello che potrebbe guadagnarci di meno, ovvero l’Italia. E dunque la domanda che da qui alle elezioni Europee – quando la battaglia contro Schengen potrebbe diventare un surrogato della battaglia contro l’Euro – sarà giusto porsi è una e soltanto una: perché sull’immigrazione l’Italia si sta avvicinando a una strategia che piuttosto che contribuire a risolvere i problemi potrebbe aggravarli? Nella migliore delle ipotesi, si potrebbe pensare che tra un tuffo in piscina e una diretta su Facebook la situazione sia sfuggita di mano. Nella peggiore delle ipotesi, si potrebbe invece pensare che quella che sembra una non strategia in realtà è una strategia chiara: allearsi con il fronte dei ducetti sovranisti per far saltare in modo deliberato Schengen mossi dalla convinzione che un’Europa chiusa metta sì a rischio la libertà di movimento degli europei ma che sia l’unica strategia possibile per disincentivare il flusso dei migranti. Nel dicembre del 2016, poche ore dopo un attentato islamista a Berlino, l’allora candidata alle presidenziali francesi Marine Le Pen invitò i suoi amici d’Europa a combattere per realizzare un sogno così sintetizzato: “Il mito della libera circolazione totale in Europa va definitivamente seppellito, ne va della nostra sicurezza”. In quelle ore, oltre al partito olandese di Geert Wilders, a sposare le tesi di Le Pen furono due partiti italiani. Il primo partito si chiamava Movimento 5 stelle. Il secondo partito si chiamava Lega. Lo stesso partito, quest’ultimo in particolare, che da anni ripete un ritornello che da qui alle prossime Europee potrebbe tornare di attualità. La prima volta Salvini lo disse nel 2014 e la mise così: “Con Marine Le Pen chiederò che venga sospeso il trattato di Schengen e che vengano controllati i confini. Io voglio sapere chi entra in casa mia. Non può essere solo l’Italia il paese dei balocchi”. La battaglia sull’Euro, grazie a Mattarella, è uscita fuori dal radar del governo. Ma senza un intervento severo di chi ha a cuore l’interesse nazionale italiano nei prossimi mesi il nostro paese potrebbe ritrovarsi al centro di una battaglia suicida: non la fine dell’Euro, ma più semplicemente la fine dell’Europa. E quello che in modo freddo l’Europa “a dux velocità” chiama Schengen in realtà è qualcosa di più importante: non c’entra la sicurezza, c’entra la nostra libertà. Wake up.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.