Horst Seehofer e la cancelliera Angela Merkel (foto LaPresse)

Merkel contro il bullismo di Seehofer & Co.

Paola Peduzzi

La cancelliera ha rimesso il ministro dell'Interno al suo posto e i centri di trasferimento non si faranno. Vi pare una resa?

Milano. La settimana della fine-della-Merkel è iniziata, domenica scorsa, con un annuncio informale di dimissioni imminenti: il ministro dell’Interno, il duro del governo tedesco, Horst Seehofer, non voleva mollare la presa, una volta azzannata la cancelliera Angela Merkel nel suo punto debole, l’accoglienza dei migranti, voleva dilaniarla, costringerla ad ammettere che questo nuovo mondo è il regno di chi batte i pugni sul tavolo e ottiene quello che vuole. La Merkel è sotto assedio, la Merkel è in un angolo, la Merkel paga quel che Donald Trump definisce “un enorme errore”: aver accolto i migranti, aver pensato che dall’emergenza si sarebbe usciti più forti, aver detto “ce la possiamo fare”.

 

Nel lunedì della resa dei conti, il duro Seehofer aveva già un po’ meno voglia di dimettersi, di certo i suoi compagni di partito, gli altri duri della Csu bavarese, ne avevano pochissima, andavano dicendo che non avrebbero mai fatto qualcosa che potesse minare la stabilità della Germania. Così Seehofer ha abbandonato l’idea di sbattere la porta, ma per dissimulare il suo rapido calcolo – qui resto fregato solo io – ha rifatto il bullo: “Non mi faccio cacciare da una cancelliera che ho reso io cancelliera”, ha detto, e i commentatori si guardavano sbalorditi, trattenendo le risate: ma che dice?

 

Seehofer non si è accorto, o non ha voluto farlo, ed è entrato nella sala riunioni con la Merkel pronto a menare: è uscito con una bozza di accordo striminzita in cui ha messo all’ordine del giorno la costruzione di centri di trasferimento vicino alla frontiera tra Baviera e Austria per esaminare i migranti in entrata ed eventualmente rispedirli al mittente (il primo paese d’ingresso). Grande vittoria del ministro duro, han detto i giornali: costringe la Merkel a piantarla con il suo aperturismo, siamo tutti un po’ più fortezze, e ci piace così. Poiché i migranti venuti dall’Italia non avrebbero avuto accesso a questi centri di trasferimento, validi soltanto per i paesi di primo approdo con cui c’è un accordo di restituzione (in cambio di procedure più rapide per i ricongiungimenti familiari in Germania), l’Austria si è subito allarmata. La nuova star dell’Europa, il premier di Vienna Sebastian Kurz, ha detto: se chiudete voi chiudo anch’io, dal Brennero non entra più nessuno. Lasciando la Merkel nell’angolo in cui l’aveva cacciata, Seehofer è partito quindi alla volta dell’Austria, dove si è mostrato piuttosto docile quando ha detto a Kurz che no, aveva capito male, nessun migrante sarebbe stato respinto in Austria, li rimandiamo in Italia, ci accorderemo con il governo di Roma (auguri).

 

Nel frattempo a Berlino si temeva un’altra crisi di governo, visto che l’esecutivo guidato dalla Merkel non comprende soltanto la Cdu e la Csu, ma anche l’Spd, che a questi centri di trasferimento si era già opposta nel 2015. Giovedì, mentre il ministro duro rientrava da Vienna, la leader dei socialdemocratici Andrea Nahles faceva sapere di aver pronta “un’offerta alternativa” a quella della Csu, e di nuovo si è temuto (e si è scritto) il peggio. Un altro negoziato, la Merkel non ce la fa. La serata è andata via tranquilla, è stato siglato un altro accordo striminzito, in cui i centri di trasferimento non sono più citati, le domande d’asilo si valuteranno nei luoghi che esistono già, cercando di fare più in fretta. Cosa che, a occhio, non sarà difficile: secondo le dichiarazioni dell’Spd, al momento alla frontiera bavarese arrivano cinque richiedenti asilo al giorno. Cinque.

 

La settimana della fine-della-Merkel è terminata con: il bullo Seehofer rimesso al suo posto (più stretto), i centri di trasferimento cancellati, il governo pronto a parlare d’altro. Eh ma la Merkel ha rinunciato alla sua politica d’accoglienza. Certo, l’Europa della fortezza sta vincendo, non da oggi, da un paio d’anni; certo la Merkel perde ogni volta qualcosa negli scontri, non esiste immunità a questi logoramenti politici, ma voler tornare alla normalità non è una rinuncia o una resa. E’ pragmatismo merkeliano, avercene, se l’emergenza non c’è perché dovremmo far finta che ci sia, perché ce lo dicono i bulli?

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi