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Perché il caso Cambridge Analytica svela il peccato originale di Facebook

Eugenio Cau

Tutto ruota attorno all'"harvesting". Il crollo in Borsa

Roma. Il verbo fondamentale nella vicenda di Cambridge Analytica e Facebook è “harvest”, che è un verbo contadino, e significa fare raccolto, mietere, vendemmiare. Cambridge Analytica, ha detto il whistleblower Christopher Wylie al Guardian e al New York Times, ha “fatto raccolto” in maniera illecita dei dati personali di decine di milioni di utenti di Facebook, e l’ha usato per creare un’arma di manipolazione elettorale potente con cui Steve Bannon avrebbe contribuito all’elezione di Donald Trump, alla vittoria della Brexit e per dare sostanza all’ondata populista europea.

 

Nel suo racconto, Wylie ha accusato Cambridge Analytica, la società di targettizzazione politica cofondata da Bannon con i soldi della famiglia Mercer, di aver ottenuto i dati di almeno 50 milioni di elettori diffondendo una app che autorizzava l’azienda a fare raccolto dei dati Facebook degli utenti e di quelli dei loro amici: like, post sulla bacheca, post condivisi, network di amici, in alcuni casi perfino i messaggi privati. Fino al 2014, Facebook consentiva a queste app di fare “harvesting”: anche la campagna per la rielezione di Barack Obama nel 2012 aveva la sua app. Ma la app di Cambridge era stata dissimulata come un test della personalità con finalità ludiche e di ricerca, e i suoi utenti non sapevano che i loro dati sarebbero stati utilizzati in campagna elettorale. Usando i dati di Facebook, Wylie e i suoi avrebbero creato dei modelli di targettizzazione potenti – significa: trovare il messaggio politico o commerciale perfetto per manipolare la psicologia di ogni singolo elettore/consumatore/utente in base al suo profilo – che sarebbero stati usati nella campagna elettorale americana, in quella referendaria sulla Brexit e altrove. Come se non bastasse, alcuni ricercatori di Cambridge Analytica avevano relazioni sospette con la Russia.

  

  

Ci sono due interpretazioni estreme di questa vicenda. La prima è: “Cambridge Analytica ha fatto vincere Trump e la Brexit usando i dati di utenti ignari”. L’altra è: “Cambridge Analytica esagera il suo ruolo nella campagne elettorali recenti e i dati che ha acquisito non hanno spostato nessun risultato”. Le classi politiche americana, inglese ed europea hanno optato per la prima opzione, e negli ultimi due giorni sono state piuttosto minacciose nei confronti di Analytica e di Facebook, promettendo comparizioni davanti a commissioni d’inchiesta e indagini giudiziarie. In realtà, lo stesso Wylie ha detto al Guardian di non avere idea degli effetti che il lavoro di Analytica ha avuto nell’ascesa del populismo, e certo passeremo i prossimi mesi a interrogarci sull’influenza di Analytica nelle vicende politiche degli ultimi anni in occidente. Ma alcune responsabilità sono chiare fin da subito: quelle di Facebook, che non a caso lunedì è crollato in Borsa. Il primo livello di responsabilità riguarda l’omesso controllo: Facebook sapeva almeno dal 2015 che Analytica aveva vendemmiato i dati di utenti inconsapevoli e li usava per campagne politiche, ma secondo Wylie non ha fatto quasi niente per impedire che fossero usati. Il secondo livello di responsabilità è più generale e riguarda l’atto stesso dell’“harvesting”.

 

Il fatto fondamentale è che i dati di Facebook (ergo: i nostri dati personali, le nostre vite digitali) sono là fuori per essere vendemmiati con relativa facilità da chiunque voglia organizzare una guerra culturale o una campagna pubblicitaria. Facebook dice di aver chiuso tutte le falle di sicurezza, ma la domanda che ci faremo nei prossimi anni sarà ugualmente: quante altre aziende con obiettivi politici e commerciali hanno raccolto i nostri dati con il silenzio-assenso del social network? Quante lo faranno ancora? La prima che ci viene in mente è Facebook stesso: il suo modello di business è la vendemmia dei nostri dati. L’abbiamo sempre saputo, ma pensavamo che Facebook servisse a venderci gadget, non a manipolare la democrazia. Certo: non è l’unica azienda a farlo, ma è l’unica a possedere le nostre vite quasi per intero. Ci siamo svegliati tardi. Presto i dati personali saranno il tesoro più prezioso che avremo. Chi ne avrà il dominio potrà decidere elezioni e creare imperi economici. Allora ci chiederemo come abbiamo potuto cederli tutti a Facebook. Gratis, per giunta. 

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.