Un uomo cammina davanti al logo di Facebook al quartier generale di Londra in Rathbone Place (foto LaPresse)

Ecco chi sono gli ex dirigenti di Facebook che vogliono cancellarsi da Facebook

Redazione

Brian Acton, co fondatore di WhatsApp, è diventato miliardario grazie a Zuckerberg, si aggiunge ai boicottatori del social network: "E' arrivato il momento". La lista di ex manager di Menlo Park (e non solo) pentiti si allunga

Era nato e si era diffuso già prima dello scandalo Cambridge Analytica, ma ora sempre più persone aderiscono al movimento #deletefacebook. Tra questi c’è anche Brian Acton. Piccola nota a margine: Acton è uno dei due cofondatori di WhatsApp, diventato di proprietà di Facebook nel 2014, quando Mark Zuckerberg acquistò l’applicazione di messaggistica per 19 miliardi di dollari.

 

 

Acton è diventato molto ricco grazie a Facebook, il suo patrimonio si aggira intorno ai 5,5 miliardi di dollari secondo Forbes, ma nonostante questo ha deciso di aderire al movimento che ritiene necessario eliminare i propri dati dal social network. E’ arrivato il momento, ha scritto Acton su Twitter.

 

 

Brian Acton è solo l'ultimo di una lista di dirigenti o ex manager folgorati sulla via di Menlo Park. Dapprima entusiasti finanziatori o convinti partecipi del progetto, si sono poi convertiti. Tra i casi più noti c'è quello di Chamat Palihapitiya, che alla fine del 2017 disse che il social network stava "distruggendo il tessuto che tiene insieme la società".

 

 

Sean Parker è stato tra i primi a credere che l'idea di Zuckerberg, da un embrione di start up dell'università di Harvard, potesse diventare quello che poi è diventato: una multinazionale che ha in mano le informazioni personali di 2 miliardi di persone. Parker, come racconta il film "The Social Network", investì sulla società, di cui poi divenne presidente. Finché a novembre 2017, un mese prima delle dichiarazioni di Palihapitiya, Parker lanciò l'allarme: "Dio solo sa quello che Facebook sta facendo al cervello dei bambini", disse, sostenendo che il sito fosse fatto "per approfittare della vulnerabilità della psiche umana". Parker al momento, come del resto Palihapitiya, risulta però ancora iscritto a Facebook. 

 

 

Il caso Cambridge Analytica ha evidentemente aperto una nuova breccia tra le mura di Palo Alto, anche se la conversione di Acton, come quella degli altri ex dirigenti, fa discutere rispetto alle migliaia che arrivano in queste ore. La presa di posizione di Acton in realtà non sorprende. Da tempo si era allontanato dalla società che lo ha reso ricco, e già prima dello scoop di New York Times e Observer, aveva finanziato la Signal Foundation, un’associazione no profit legata a Signal, app di messaggistica criptata sponsorizzata da Edward Snowden. “La protezione dei dati è importante, per tutte le persone in ogni parte del mondo. Ognuno merita di essere protetto”, aveva scritto nel blog di Signal.

 

 

Jan Koum, l'altro fondatore di WhatsApp, è rimasto amministratore delegato di WhatsApp e utilizza attivamente il suo account Facebook per condividere notizie pro-Trump di Breitbart e Fox News.

 

 

Più che un velo di Maya, Cambridge Analytica è un risveglio tardivo che contagia anche e soprattutto il mondo della Silicon Valley. John Biggs su Techcrunch, testata di riferimento della valle del Silicio ha posto il problema in questi termini: "Amiamo il potere che ci dà, la sensazione di connessione. In assenza di una piazza cittadina parliamo a noi stessi. Senza amore e comprensione prendiamo parte alla rivolta silenziosa dell'indifferenza virtuale". Sarah Todd l'ha messa giù ancora più drastica: "#deletefacebook è l'opportunità perfetta - e definitiva - per essere più felici". 

 

 

Se la notizia della morte del social network è ampiamente esagerata – per il momento – è certo che Facebook ha un problema. Gli amici si stanno riducendo, e anche i finanziatori. Come la banca norvegese Nordea, che ha deciso di escludere le azioni di Facebook dalla sua unità di investimento sostenibile, "visto l'alto livello di rivelazioni che circondano la compagnia, che si stanno ripercuotendo sull'opinione pubblica", ha commentato su Twitter il responsabile finanziario Sasja Beslik.