Mark Zuckerberg all'Apec CEO Summit a Lima, in Peru (foto LaPresse)

Cosa vogliono gli "ex" della Silicon Valley furiosi con Facebook&Co.

Eugenio Cau

Nel Center for Humane Technology gli ingegneri si coalizzano per "combattere ciò che hanno costruito" e cambiare l'industria

Roma. La crisi di coscienza della Silicon Valley passa anche per i suoi manager e ingegneri. Nel bel mezzo del grande “techlash” che ha colpito le industrie tecnologiche d’America, è diventato spettacolo piuttosto comune vedere qualche ingegnere di Facebook o Google dichiarare pubblicamente di avere i sensi di colpa per i mostri che ha contribuito a creare.

 

L’esempio più importante è stato alla fine dell’anno scorso quello di Chamath Palihapitiya, ex vicepresidente di Facebook con delega alla crescita degli utenti, che disse che il social network stava “distruggendo il tessuto che tiene insieme la società”. L’accusatore di più alto profilo è stato invece Sean Parker, tra i primi investitori nella creatura di Mark Zuckerberg, che disse che il sito era fatto per “approfittare delle vulnerabilità della psiche umana” e “Dio solo sa cosa sta facendo al cervello dei bambini” – questo almeno finché l’azienda stessa non ha pubblicato una ricerca che conferma che sì, in media passare troppo tempo su Facebook rende le nostre vite miserabili.

 

Gli ex dunque – ex dipendenti del settore ingegneristico, ex investitori, ex manager – sono una nemesi terribile per le pretese etiche della Silicon Valley. Tanto più quando si mettono insieme, come è successo tre giorni fa con la fondazione del Center for Humane Technology, una associazione di ex, appunto, il cui compito è “combattere ciò che hanno costruito” nella Silicon Valley, come ha scritto il New York Times. Sul sito web del Center for Humane Technology si legge un’analisi che ormai è diventata mainstream: la nostra società è stata sabotata dalla tecnologia; Facebook, Google, Twitter e Instagram hanno dato il via a una guerra per ottenere l’attenzione costante dei cittadini tale da minare i pilastri della nostra società, come per esempio le relazioni sociali, la salute mentale, lo sviluppo dei bambini e la democrazia stessa. Hanno creato un sistema che è facile da manipolare e che non si può auto riformare, nonostante le promesse dei magnati tecnologici: sabotare i nostri cervelli è il loro modello di business, non c’è via d’uscita. Per questo, dicono gli ex, bisogna fare lobby presso le istituzioni e risvegliare la coscienza sociale.

 

Il primo punto del programma è convincere il Congresso americano a istituire una commissione di ricerca per studiare gli effetti della tecnologia sulla salute dei bambini, ma tra gli obiettivi ci sono anche una legge sul controllo dei bot. Sul sito poi c’è una voce dedicata a suscitare consapevolezza nei dipendenti delle compagnie tecnologiche: gli ex vogliono usare i loro successori per portare avanti certe battaglie da dentro.

 

Tra i membri del Center for Humane Technology ci sono l’uomo che ha presentato Sheryl Sandberg a Mark Zuckerberg, il “co inventore del bottone ‘like’”, e soprattutto Tristan Harris, che è l’ex Design Ethicist di Google e in un certo senso è il capostipite di tutti gli “ex” delusi dell’industria tecnologica americana. Ancora un paio d’anni fa, quando la luna di miele tra la Silicon Valley e il mondo non si era interrotta (ma era sul punto di), Harris già scriveva su Quartz lunghi saggi su come i social media si approfittano delle nostre vulnerabilità psicologiche. Alla fine del 2016 l’Atlantic lo ha definito “la cosa più simile a una coscienza che la Silicon Valley abbia”. Harris, che oltre al Center for Humane Technology ha fondato anche l’associazione Time Well Spent e cerca di generare consapevolezza sui problemi della tecnologia a suon di Ted Talk, in un’intervista a Bloomberg qualche giorno fa ha detto che la Silicon Valley ha creato una “macchina per il controllo della mente a livello globale”, – insomma, sembra agguerrito. Non c’è niente di peggio di un ex arrabbiato.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.