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strade diverse

Tassi su, tassi giù. Le risposte divergenti di Russia e Cina ai rispettivi problemi

Giorgio Arfaras

Mosca e Pechino per sopperire ai propri guai economici adottano due strategie diametralmente opposte. Le soluzioni, i precedenti, le variabili

La banca centrale cinese abbassa i tassi, mentre quella russa li alza. Perché agiscono così? E questa azione ha un qualche effetto risolutivo del problema retrostante?

 

L’economia cinese sta rallentando. Il suo tasso di crescita non è più nell’ordine di grandezza di quello passato. Ed ecco che, di fronte a una minor crescita, la Banca centrale abbassa i tassi. Un tasso di interesse più basso dovrebbe, riducendo il costo del credito per le famiglie e per le imprese, aiutare la ripresa. Il tasso di interesse si può abbassare se non c’è inflazione, perché in questo caso l’obiettivo sarebbe l’opposto: frenare l'economia e non di stimolarla. In Cina c’è deflazione, il livello dei prezzi sta leggermente calando, e quindi un tasso di interesse più basso può avere un effetto positivo, perché non alimenta l’inflazione ma la crescita. Ed ecco la spiegazione della decisione cinese di abbassare i tassi.

Le cose però non sono messe così semplicemente. In Cina si è verificata l’esplosione delle costruzioni immobiliari finanziate con il debito. Queste costruzioni sono da tempo in largo eccesso rispetto alla domanda. Quindi chi si è indebitato, non vendendo e non affittando, non sa come ripagare il debito. Se il grosso dei debiti è a fronte di attività in crisi che non producono un reddito, ecco che sono difficili da onorare qualunque sia il tasso di interesse.

Che cosa può accadere? Abbiamo come guida l’esperienza del Giappone, che dopo avere stupito con la sua crescita fino agli inizi degli anni Novanta, si è fermato anche per effetto del debito cumulato. E come ne sono usciti? Nessuno in Giappone voleva del credito qualunque fosse il tasso d’interesse, perché doveva rendere il debito. La politica monetaria era spiazzata, perché non bastava mantenere bassi i tassi di interesse. Restava la spesa pubblica per salvare le cose: la si usa fino ad assorbire la riduzione di quella privata. I finanziamenti che andavano al settore privato andavano a quello pubblico. Il fabbisogno finanziario dello stato però non spinge al rialzo i rendimenti delle obbligazioni, perché il settore privato non chiede più, fintanto che deve ridurre il proprio debito, capitali al mercato.

 

Conclusione “giapponese” per la Cina: non sono i tassi bassi la soluzione, ma la spesa pubblica.

 

Il rublo qualche giorno fa era in caduta libera, e si stava avvicinando a quel livello minimo su un arco di molti anni che si era formato nei primi tempi dell’invasione dell’Ucraina. Ed ecco che la Banca centrale russa ha alzato e non poco i tassi. L’obiettivo è di fermare i capitali in uscita con un tasso di interesse elevato, quindi con una remunerazione per chi, russo, rimane investito in rubli molto più elevata di quella che avrebbe su altri mercati, mentre è molto difficile che sorga un flusso di capitali dall’estero attirato dai tassi russi elevati. Questa decisione dovrebbe rafforzare il rublo ma solo nel breve periodo. Perché? Torniamo indietro nel tempo. 

 

Il prezzo del gas e del petrolio lo scorso anno erano molto alti. Le entrate russe da esportazioni erano quindi cospicue e di molto maggiori delle uscite per importazioni. Il saldo commerciale positivo aveva stabilizzato il rublo dopo la prima crisi legata alla guerra, mostrando secondo alcuni, l’inefficacia delle sanzioni. Da quest’anno i prezzi e le quantità del petrolio e del gas russi sono scesi molto, sia per effetto delle sanzioni sia per effetto delle vendite a prezzi scontati alla Cina e all’India. Le entrate da esportazioni si sono ridotte, mentre le uscite da importazioni, soprattutto dalla Cina, sono aumentate anche per gli acquisti di materiale bellico. La Russia non ha più quell’enorme avanzo negli scambi commerciali con l’estero che rafforzava il rublo. E non ha nemmeno un gran flusso di capitali in uscita che indeboliva il rublo. Ciò che avviene per effetto delle sanzioni occidentali che hanno isolato il sistema finanziario russo e dei controlli del Cremlino. 

Conclusione: il rublo è in una terra di nessuno, senza spinte in una delle due direzioni, perciò la manovra sui tassi può avere solo un effetto di breve termine. 

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