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Come superare il blocco dei licenziamenti e il decreto dignità

Barbara D'Amico

L’inevitabilità della perdita di posti di lavoro è infatti concreta e non dovrebbe essere trattata come un tabù. Anche il ministro Gualtieri dice che è utile eliminare i disincentivi al rinnovo dei contratti a tempo determinato

Torino. Il diavolo non si nasconde solo nei dettagli. A volte può trovarsi anche nelle enunciazioni troppo generali. Come quelle che stanno emergendo dal consesso di Villa Pamphilj e che qualcuno ha ridefinito “Stati generici” per l’assenza - almeno ad oggi - di un piano concreto e puntuale sul rilancio del lavoro e dell’economia del paese.

     

In attesa di una road map più definita, c’è un elemento che non può sfuggire all’attenzione dei più ed è il rischio di licenziamenti a pioggia il prossimo autunno, gli stessi che ribollono nel sostrato occupazionale italiano, o almeno di ciò che ne resta dopo un blocco forzato e globale dei consumi per tre mesi. Un dettaglio, appunto, tutt’altro che trascurabile: l’inevitabilità della perdita di posti di lavoro è infatti concreta e non dovrebbe essere trattata come un tabù.

  

Sono almeno tre gli elementi che sconfessano il mantra “nessuno perderà il lavoro” a cui il governo ha abituato l’audience. Il primo è il rallentamento prolungato del mercato globale dei consumi e dei servizi grazie a cui esistono i posti di lavoro. Senza una domanda forte non può esserci creazione di contratti né a tempo pieno né a tempo determinato.

   

Ci sono poi i dati sulla cassa integrazione che l’Inps ha certificato lo scorso mese: circa 8 milioni di lavoratori ne stanno usufruendo, il che implica che non siano pienamente occupati o non lo siano affatto, lasciando le aziende nel pericoloso terreno della perdita di competitività in caso di ripresa della domanda.

   

Il terzo elemento è nei dati sulla perdita dei posti già certificata dall’Istat: in tre mesi ne abbiamo bruciati 500 mila, nonostante il blocco dei licenziamenti adottato dal governo e voluto dai sindacati, e con una ripresa lenta non solo non potranno essere riassorbiti in breve tempo ma aumenteranno a causa di ulteriori chiusure causate, stavolta, dalla combinazione degli effetti degli ammortizzatori sociali e delle norme del decreto dignità.

  

Che cosa accadrà infatti una volta terminati sussidi e rimossi i blocchi? Con le misure anti-covid19 i datori sono chiamati a investire nell’adozione di protocolli, misure di sicurezza e sistemi per cui gli incentivi pubblici scarseggiano - lo aveva messo in evidenza proprio Il Foglio. Facile dunque intuire che dovendo sborsare di tasca propria le risorse per l’adeguamento e con un mercato ancora fiacco, i soldi per mantenere alti i livelli occupazionali scarseggeranno. Il lavoro infatti costerà ancora di più. Meglio dunque licenziare e ridimensionare una volta terminato il blocco, anche se facendo un po’ i conti in tasca, anche in questo caso le imprese perderanno su tutta la linea indebolendosi ulteriormente: la combinazione tra aumento dei contratti a tempo indeterminato per effetto del decreto dignità e la crescita incontrollata della cassa integrazione, specie quella straordinaria, produce un effetto leva sul ticket che le aziende devono versare per ogni lavoratore licenziato passando da una media di 500 a circa 1000 euro per ogni anno di lavoro (è infatti ciò che prevede la normativa se a licenziare sia ad esempio un’azienda che sfrutta la cigs).

  

Il ticket dovrebbe poi alimentare gli strumenti che puntellano la sostenibilità economica dei dipendenti, cioè i sussidi come la Naspi. Quindi anziché alimentare la creazione di lavoro e la produttività, l’Italia sta costringendo imprese e lavoratori a finanziarsi da sé gli ammortizzatori sociali in una trappola da cui è già oggi difficile svincolarsi.

  

Se n’è accorto anche il governo e non è un caso che il ministro Roberto Gualtieri abbia appena dichiarato che sia utile eliminare i disincentivi al rinnovo dei contratti a tempo determinato.

  

Del resto questo cortocircuito è stato messo bene in evidenza di recente su Repubblica dall’ex presidente dell’Inps Tito Boeri ma anche da report e analisi di economisti, dirigenti e ricercatori che da più parti suggeriscono metodi per correggere le storture. Una prima ricetta è quella contenuta nel Piano Colao che, senza girarci intorno, chiede di allentare temporaneamente il divieto di proroga dei contratti a tempo determinato introdotto dal decreto dignità per dare la possibilità alle imprese di riconfermare i dipendenti o assumerne di nuovi senza ricorrere al posto fisso, cioè all’inquadramento meno sostenibile nel medio periodo senza una riforma del costo del lavoro, ma che rischia di far aumentare il precariato.

   

Il decreto rilancio, è utile ribadirlo, ha già inserito eccezioni alla regola come ben evidenziato dai giuslavoristi dell’associazione Adapt, quindi un piede è già oltre la logica del blocco. Anche il presidente di Adapt, Francesco Seghezzi, ritiene urgente investire le imminenti risorse europee del piano Sure in formazione e riqualificazione professionale dei cassintegrati, facendo poi leva sullo strumento dell’apprendistato per integrare la fascia più colpita da questa crisi: i giovani tra i 24 e i 35 anni. Suggerimenti che, messi insieme, non impedirebbero di certo i licenziamenti ma fornirebbero un terreno utile di ripresa e riassorbimento di centinaia di migliaia di lavoratori in bilico che attendono dettagli concreti e non generiche pacche sulle spalle.