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I lavoratori del legno scioperano (a causa del decreto dignità)

Barbara D'Amico

I sindacati non trovano l’accordo con Federlegno ma, a detta loro, la legge antiprecariato ha solo peggiorato il problema

Torino. A volte gli scioperi hanno ragioni che la ragione non comprende. Il 21 febbraio, per otto ore, i lavoratori del comparto legno e arredo incroceranno le braccia in tutta Italia. E lo faranno per impedire che il settore si avvalga di un maggior numero di addetti precari, creati non tanto dalla volontà aziendale quanto dalle disfunzioni della riforma che il precariato vorrebbe debellarlo: il decreto dignità.

 

La vicenda è molto indicativa della realtà industriale italiana perché è un caso plastico di come regole mal concepite, anche se ispirate a una giusta causa, possano rallentare, anziché rilanciare, la creazione di posti in un settore chiave. La protesta indetta da FenealUil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil infatti, ha radici ufficiali nello stop alle trattative in corso tra sindacati e FederlegnoArredo, l’associazione che rappresenta le imprese di settore, per il rinnovo del contratto collettivo nazionale. Nel comunicato con cui annunciano la protesta – che prevede presidi davanti alle sedi Federlegno a Milano, Treviso, Pesaro e Bari –, le sigle sono molto dure e accusano la controparte di voler puntare sulla precarizzazione della forza lavoro. L’accordo, in effetti, è sfumato non solo sugli adeguamenti salariali, ma soprattutto su come modificare le soglie previste dal decreto dignità per l’impiego di lavoratori a tempo determinato e in somministrazione, nonché le attività in cui è possibile avvalersi di lavoratori stagionali. Soglie che è lo stesso decreto a ritenere modificabili, previo accordo tra aziende e sindacati, per compensare la rigidità dei criteri che limitano il ricorso a contratti flessibili.

 

Perché, però, un comparto che è tra i top per export e produzione industriale – 23 miliardi di fatturato e +2,7 per cento di vendite all’estero nel 2018 – anziché puntare sulla creazione di posti a tempo indeterminato chiede ai sindacati di trovare un accordo sulla flessibilità? La risposta è proprio in quei dati e nel raffronto con il periodo pre-crisi, una fotografia che spiega come non ci sia ancora quella possibilità di occupazione piena che il decreto dignità ha preteso di creare per legge. Lo spiega lo stesso Fabrizio Pascucci, segretario nazionale di Feneal Uil Legno: “Il decreto dignità ha rovinato la flessibilità che l’azienda aveva sui contratti a tempo determinato – spiega al Foglio – così ora l’impresa un anno impiega un lavoratore e il secondo anno non può confermarlo e deve cambiarlo. Invece in questo modo (prima del decreto dignità ndr) aveva la possibilità di conoscere e valutare quella risorsa. In questo settore se un’azienda trova una persona che sa lavorare è difficile che se la lasci scappare, ma non si assumono tutti”.

 

Quello del legno e dell’arredo è un comparto importante per l’Italia, ma ha subito i contraccolpi della crisi. Nel 2006 gli addetti diretti erano oltre 200 mila, nel 2017 l’Istat ne certificava le metà, circa 111 mila, e oggi le associazioni parlano di 130 mila occupati. Sulla totalità delle imprese rappresentate da Federlegno, inoltre, il 40 per cento ha un’attività a carattere stagionale – ad esempio chi produce tendaggi, case in legno o mobili da giardino – mentre il resto delle aziende è sì attivo tutto l’anno, ma in un contesto stravolto nelle modalità produttive fatte di maggiori incertezze sulla quantità, qualità e durata delle commesse. Secondo l’associazione d’imprese, a pesare sulla mancata intesa, oltre al no dei sindacati, sono le regole del decreto dignità che rendono più difficile per le aziende organizzare il lavoro in un momento storico in cui il mercato segue ritmi così fluttuanti. Per questo le aziende vorrebbero alzare, rispetto al 20-30 per cento concesso dalla legge, le soglie per i contratti flessibili. Un bagno di realtà in cui occorrerebbero contrappesi e tutele efficaci per i lavoratori, beffati due volte: una dalle contingenze del mercato e un’altra dalle regole che, anziché facilitare la creazione di lavoro in alcuni comparti, l’hanno resa una faccenda davvero legnosa.