Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Tanto fece Di Maio per nulla

Redazione

Dopo un anno il decreto dignità non ha combattuto la “precarietà”

Nei nuovi punti programmatici del M5s, saliti a 26, al secondo posto c’è il lavoro con enfasi sul salario minimo e sul “giusto compenso per evitare lo sfruttamento di giovani professionisti”. E’ la filosofia del decreto dignità del 12 luglio 2018, biglietto da visita di Luigi Di Maio al debutto del governo gialloverde. Misura con la quale Di Maio si vanta di aver ottenuto risultati “storici” nella stabilizzazione dei precari e nel record dell’occupazione. Risultati che via via confermati o contraddetti dall’andamento mensile della disoccupazione, dei contratti fissi e dell’occupazione: il dato di luglio, ultimo rilasciato dall’Istat, è negativo su tutti e tre i fronti. Migliori o altalenanti erano le cifre dei mesi precedenti.

 

Si può tentare un bilancio oggettivo a un anno dall’entrata in vigore di quel decreto? Lo fa su lavoce.info Bruno Anastasia, direttore dell’Osservatorio del mercato del lavoro della regione Veneto. “I recenti dati Istat – scrive Anastasia – attestano che sostanzialmente nulla è cambiato: l’incidenza dei dipendenti a termine era pari al 17,1 per cento a luglio 2018 ed è pari al 17 per cento a luglio 2019. Non va meglio osservando i valori assoluti: i dipendenti a termine erano 3 milioni e 180 mila a luglio 2018 e sono 3 milioni e 209 mila a luglio 2019. Con uno sforzo di positività potremmo sostenere che è stato cristallizzato il livello relativo dell’occupazione a termine”.

 

Scavando più a fondo dei dati forniti invece dall’Inps però si scopre che “il decreto dignità è stato tutt’altro che indolore: nel secondo semestre 2018 ha accelerato il trend delle trasformazioni dei contratti a tempo determinato in tempo indeterminato, mentre ha compresso le assunzioni a termine”. La sintesi? Le imprese “si sono adattate con un mosaico di strategie eterogenee per evitare di apporre la causale prevista dal decreto per i contratti precari. Ciò però non è stato sufficiente a produrre cambiamenti strutturali consistenti. Non bastano legislatori frettolosamente inclini a promesse illusorie o esperti di comunicazione intenti a ritinteggiare il muro della realtà”. Hanno assunto sfruttando la scia della ripresa presente fino a inizio 2018, che ora si è esaurita. E il lavoro non si crea (né si migliora) per decreto. Ma per decreto si può distruggere.

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