Il segretario della Cisl, Annamaria Furlan (foto LaPresse)

Furlan striglia Conte

Valerio Valentini

“Subito un vertice coi Mittal, ma prima reintrodurre lo scudo”. Parla il segretario della Cisl

Roma. Il dubbio che viene a sentirla parlare con tanto calore è che in realtà sia già tutto vano, tutto perduto. “Ma io sono una sindacalista”, replica allora Annamaria Furlan, mentre si accende una sigaretta e s’infila in macchina, al termine dell’incontro al Mise che ha sancito, forse, la morte dell’ex Ilva, e non solo. “E da sindacalista – prosegue il segretario generale della Cisl – non mi rassegno all’idea che un paese civile accetti di chiudere una delle più grandi fabbriche che ha, in un settore strategico per l’intera economia nazionale”. E allora, che fare? “Noi chiediamo al presidente del Consiglio di attivarsi subito per organizzare un incontro in cui siano presenti sia i sindacati sia i proprietari di ArcelorMittal. Ed è a questi ultimi che dobbiamo dire, in maniera chiara, che se il problema dell’azienda sta nella congiuntura economica sfavorevole, allora non ci sottrarremo dall’utilizzare gli strumenti del caso, compreso il ricorso ad ammortizzatori sociali e una riorganizzazione del lavoro. Nel frattempo, però, il governo s’impegni immediatamente a reintrodurre lo scudo fiscale attraverso un decreto urgente. Ma deve farlo ora, senza nessun indugio”, prosegue la Furlan, che a nascondere il suo nervosismo non ci prova neppure.

 

Siamo preoccupatissimi, per l’Ilva e per il paese”, ammette. “Rischiamo di lasciare per strada ventimila lavoratori, di rendere impossibile il risanamento ambientale di Taranto, e d’impoverire il paese in uno dei settori, come quello dell’acciaio, in cui era tra i più competitivi nel mondo”, spiega Furlan, mentre nel diluvio romano la sua auto s’allontana da via Veneto, da quel ministero dove s’è appena concluso il vertice tra il responsabile dello Sviluppo economico, l’amministratrice delegata di Mittal e i sindacati. “Il vertice? Non si può certo dire che sia andato bene. Anzi, nulla di fatto. Il ministro Stefano Patuanelli non ha sciolto, neppure oggi, l’ambiguità del governo sul tema dello scudo penale. E non ha neppure preso alcun impegno preciso, su questo specifico tema. L’ad di Mittal, Lucia Morselli, non ha voluto sentire ragioni, non ha retrocesso di un centimetro dalle sue intenzioni, lamentando di nuovo come siano state cambiate in itinere le regole del gioco”.

 

Chi ha ragione? “Io so solo che gli unici che hanno sempre agito nella massima correttezza sono stati i lavoratori”, dice la Furlan, che sembra già percepire l’inutilità di giudizi retrospettivi, ma che pure offre un riassunto delle puntate precedenti. “Mittal ha vinto una gara internazionale impegnandosi a rispettare un progetto che prevedeva chiari impegni sia sul piano industriale e occupazionale, e insieme sul risanamento ambientale. E ora, invece, decide di riconsegnare l’acciaieria al paese, parlando peraltro di una imminente chiusura con una leggerezza disarmante. E questo, ovviamente, è inaccettabile”. Poi c’è il governo. “Che dovrebbe assumersi le sue responsabilità, innanzitutto evitando di creare degli incidenti com’è accaduto con l’eliminazione dello scudo penale. E anche questo, francamente, è un atteggiamento incomprensibile”.

 

L’impressione, però, è che l’intero paese, oltreché la trattativa con Mittal, sia ostaggio di una minoranza parlamentare che si oppone alla reintroduzione dello scudo penale. “Qui tutti devono capire che non si tratta di una questione di consensi elettorali: c’è in ballo il destino della siderurgia italiana, e con essa dell’intera economia del paese. E poi c’è in ballo la dignità del lavoro, la vita di migliaia di famiglie non solo di Taranto, ma di tutt’Italia, il cui destino dipende dall’acciaieria di Taranto”.

 

E in questa battaglia disgraziata, che è un po’ contro l’irragionevolezza grillina e un po’ contro il poco tempo residuo, l’appello accorato della Furlan pare già destinato a cadere nel vuoto pneumatico di una politica distratta, o incapace, o chissà. “L’azienda ha prodotto un documento diramato poi ai vari ministeri competenti e alle istituzioni locali coinvolte, in cui indica la tempistica dello spegnimento degli altiforni. Bisogna impedirlo in ogni modo, mettendo anche l’azienda di fronte alle sue responsabilità. Ribadisco: se l’idea di abbandonare lo stabilimento di Taranto dipende da problemi legati alle difficoltà del mercato dell’acciaio a livello internazionale, noi siamo pronti. Se invece l’obiettivo dell’azienda è chiudere e andare via, allora da parte nostra non può esserci nessuna disponibilità”. E nello sbuffo finale non si capisce se ci sia già rassegnazione, o una residua scintilla di bellicosità.