Dubbio d'acciaio

Biagio De Marzo

Il parere di un esperto per ragionare sul sequestro dell’Afo 2. L’incidente non fu guasto ma errore umano

Ritengo doveroso riproporre pubblicamente alcune riflessioni/interrogativi sulla drammatica e complicata vicenda dell’altoforno 2 dell’ex Ilva di Taranto che l’8 giugno 2015 vide la drammatica morte dell’operaio Alessandro Morricella. Ho seguito la vicenda dal primo momento insieme a Pasquale Lenzi, altofornista di fama internazionale, già italsiderino come me. Sulla questione Afo 2 abbiamo prodotto sia interventi “chiarificatori” pubblici sia esposti alla procura della Repubblica, anche recentemente. Malgrado ciò, constatiamo tristemente che è invalsa la credenza secondo cui il povero Morricella è morto per un (indeterminato) “malfunzionamento” dell’impianto. Di fatto, finora, non c’è nessuna sentenza della magistratura, mentre ArcelorMittal, che non ha avuto alcuna responsabilità nell’incidente, di quell’indeterminato malfunzionamento subisce conseguenze tanto gravi da indurla a “lasciare Taranto”, più che per la mancanza di “protezione legale”. Am InvestCo Italy ha motivato la richiesta di recesso dal contratto o risoluzione dello stesso anche perché “il tribunale penale di Taranto ha imposto lo spegnimento dell’altoforno n. 2 se non si completano talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019, mentre gli specialisti, e gli stessi commissari di Ilva in amministrazione straordinaria, hanno ritenuto impossibile rispettare tale termine”.

 

Riassumendo: il sequestro di Afo 2 fu assunto “in attesa di conoscere le cause dell’evento anomalo a base dell’infortunio, nonché di quelli successivi di minore entità seguiti nei giorni successivi, nel dubbio di un malfunzionamento degli apparati di segnalazione di anomalie, che possa costituire fonte di pericolo di eventi e reati analoghi”. Stante il sequestro con facoltà di uso, a metà 2019, a quattro anni dall’incidente mortale, la magistratura dispone lo “spegnimento di Afo 2”, con motivazioni connesse a valutazioni del solo impianto accusatorio, basate su aspetti tecnici non accertati giuridicamente. Secondo l’accusa ci sarebbe una (indeterminata) mancanza di condizioni di sicurezza dell’altoforno per i lavoratori; secondo la difesa ci sarebbe stata una causa del tutto “esterna al forno propriamente detto”, innescata da un “evento umano”. Trattasi di una contrapposizione di non poco conto per le responsabilità giuridiche e soprattutto per l’individuazione delle conseguenti prescrizioni impiantistiche e organizzative.

 

Ritengo doveroso manifestare, ancora, il convincimento di Lenzi e mio che la morte del povero Morricella è avvenuta non per un indeterminato malfunzionamento dell’impianto ma in conseguenza di un “evento umano”: per “sbloccare la colata di ghisa”, il personale del campo di colata ha applicato maldestramente la procedura “confidenziale”, non ufficiale, popolarmente chiamata Nakadomè. Tale procedura, pur essendo praticata in vario modo in tutto il mondo, non è standardizzata, né tantomeno scritta, ma è tramandata “alla voce” tra gli addetti. Negli anni 70 altofornisti giapponesi “ammaestrarono” italsiderini tarantini sulla Nakadomè, operazione assolutamente eccezionale, che verrebbe decisa da un responsabile di altoforno, nel caso in cui con la “macchina a forare” non si riuscisse in alcun modo a “pescare” la ghisa liquida nell’altoforno. Si adopererebbe, con tutte le cautele del caso, la “macchina a tappare” iniettando nel foro di colaggio pochi chilogrammi di “massa a tappare” impastata con catrame che, a contatto con l’altissima temperatura interna all’altoforno, provocherebbe un’esplosione cui seguirebbe il deflusso regolare della ghisa liquida. Il tutto avverrebbe in pochissimi secondi senza nessun infortunio per il personale. Siamo convinti che quella sera su Afo2 fu eseguita maldestramente una Nakadomè. I lavoratori presenti sul campo di colata al momento dell’incidente dovrebbero testimoniare in tal senso. Conseguentemente la magistratura potrebbe rinviare al primo rifacimento dell’altoforno le prescrizioni ritenute tecnicamente non eseguibili attualmente. Ove mai non si riuscisse ad acquisire le suddette certezze testimoniali, si potrebbe effettuare, con tutte le precauzioni necessarie, la prova di una Nakadomè dimostrativa che riprodurrà, in qualche modo, quanto Lenzi e io riteniamo che sia accaduto quella disgraziata notte su Afo 2: noi siamo a disposizione dell’autorità giudiziaria. La suindicata prova concreta favorirebbe l’emergere della verità fattuale, senza dover aspettare i tempi indeterminati dell’ipotizzato “approfondimento processuale”, e consentirebbe di riqualificare subito le prescrizioni per il riavvio dell’Afo 2 ferme restando le rispettive responsabilità giudiziarie. In conclusione, è auspicabile il ripensamento sia del personale del campo di colata, sia dei periti/consulenti e dei magistrati che dovrebbero modificare l’accusa per gli indagati e conseguentemente le prescrizioni tecniche per l’altoforno. Stabilire subito cosa è successo veramente su Afo 2, aiuterebbe ad assodare se il siderurgico di Taranto debba essere chiuso nel dubbio di malfunzionamento di tutto quanto avviene lì dentro oppure se possa continuare a funzionare, ovviamente operando correttamente e realizzando i necessari lavori di sicurezza e antinquinamento, con il concorso “agevolato” di Arcelor Mittal, non contro Arcelor Mittal, sempre che “resti a Taranto”. Colgo, infine, l’occasione per porre una domanda: solo a me viene il dubbio di un conflitto di interesse dell’attuale custode giudiziario dell’ex Ilva e consulente tecnico della magistratura di Tarant, l’ing. Barbara Valenzano, nel frattempo divenuto dirigente regionale Puglia al massimo livello, in presa diretta con il presidente Emiliano notoriamente e fortemente critico nei confronti dell’ex Ilva e di Arcelor Mittal?

 


 

Lettera aperta a magistratura, autorità preposte e lavoratori ex Ilva di Taranto. L’ing. Biagio De Marzo, classe 1937, è ex ufficiale MMI, già dirigente siderurgico a Taranto, Terni e Sesto S. Giovanni ed ecologista tarantino

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