La sede della Bank of England a Londra (foto LaPresse)

Con Bailey al posto di Carney tramonta l'èra dei superbanchieri centrali

Ugo Bertone

Cambio alla Bank of England: si chiude un’epoca

Milano. Boris Johnson ha scelto uno sceriffo di lungo corso per vigilare sulle sorti della Brexit. Il nuovo governatore della Grey Lady, la veterana delle banche centrali, sarà Andrew Bailey, attuale presidente della Financial Conduct Authority, l’organo di controllo dei mercati finanziari. Bailey è un veterano della Bank of England (BoE)in cui ha militato per 30 anni fino a divenire il vice di Mark Carney prima di emigrare alla vigilanza sulla finanza del Regno Unito, compito in cui, per la verità, in questi anni è incorso in diversi incidenti, non ultimo il controllo troppo blando su alcuni fondi di investimenti, tra cui quelli diretti da Neil Woofdord, chiusi dopo aver accusato ingenti perdite. Johnson, alla ricerca di un banchiere esperto in grado di vigilare sui problemi che può comportare la Brexit, ha così deciso di affidarsi all’“usato sicuro”, dopo l’uscita di scena di Carney, il canadese che ha guidato la BoE negli ultimi anni, cui si devono grandi passi in avanti nel campo dell’innovazione finanziaria, specie nell’ assicurazione sui rischi ambientali, un tema assai sentito dagli assicuratori della City. Una staffetta all’insegna della continuità, ma non troppo.

 

Bailey non ha probabilmente la statura e l’appeal internazionale del banchiere uscente o di Minouche Shafik, la direttrice della London School of Economics, la grande sconfitta. Ma anche così Boris Johnson accentua le caratteristiche della sua squadra: nella stagione del sovranismo non c’è spazio per i grandi accordi sotto il cappello del G-20, materie in cui hanno brillato i superbanchieri che anno governato la stagione della crisi. Dopo l’uscita di Mario Draghi, Ben Bernanke e Janet Yellen, con Carney esce di scena, con l’eccezione del giapponese Kuroda, l’ultimo dei banchieri centrali che hanno fronteggiato la crisi della finanza mondiale dopo il crack di Lehman Brothers. Un cambio della guardia che coincide con un ripensamento del ruolo delle banche centrali: la lunga stagione degli acquisti del Quantitative easing sembra volgere al termine. Ormai si è diffusa la sensazione che i tassi bassi, magari sotto zero, non sono più la ricetta giusta. Nel mondo ha preso il via un ripensamento del ruolo dei grandi banchieri. Ieri mattina la Banca centrale della Svezia (Riksbank) ha chiuso l’era del costo del denaro negativo inaugurato proprio dalla banca scandinava sette anni fa e  la Banca centrale della Norvegia ha avvertito che nel 2020 potrebbe anche alzare i  tassi. Christine Lagarde ha intanto avviato una profonda revisione delle regole della Bce, ancora ferma alle regole della vecchia Bundesbank, dando spazio all’occupazione nella valutazione della politica monetaria. Il falco Jens Weidmann, cui sembra non dispiacere la svolta, rivendica assieme a molti colleghi una gestione più condivisa.   

 

Insomma, la stagione dei grandi banchieri carismatici sembra volgere al termine. Con grande soddisfazione di Donald Trump, il grande picconatore che ha riservato a Jerome Powell, l’avvocato che proprio lui ha scelto per sostituire Janet Yellen, più contumelie e rimproveri di tanti nemici democratici. Il presidente ha invocato (cosa che fa tutt’ora) una politica dei tassi ai minimi per alimentare l’economia e in particolare Wall Street. Per mesi la Fed, decisa a sfruttare il miglioramento della congiuntura per ordine sui mercati dopo anni di denaro quasi gratis, ha provato a resistere. Invano. Anche perché, seppur a malincuore, gli gnomi della Fed hanno dovuto ammettere che stavolta la linea del tycoon era quella giusta: lungi dal collassare la Borsa americana ha proseguito il suo volo e sui cieli dell’economia non si vede ombra di recessione, lo spauracchio che avrebbe giustificato una maggior prudenza sui tassi.

 

Non è difficile immaginare che Bailey, pur con la dovuta prudenza, agirà in modo da non creare troppi problemi a Boris Johnson con una politica troppo rigida. E di sicuro, come chiede il premier, si guarderà bene dal partecipare al meeting di Davos o ad altre occasioni simili: il club dei grandi banchieri ha chiuso i battenti per restauri. O forse è una restaurazione.