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È ora di lavorare a un ambientalismo amico della crescita

Vincenzo Boccia

Trump riporta a casa imprenditori, Putin premia chi investe in Russia. E noi? Come combattere i tic anti industriali dell’Italia

Al direttore - La vicenda dell’ex Ilva conferma l’attitudine a sottovalutare gli effetti dei provvedimenti sull’economia reale. Ignorando, in questo caso, che la sostenibilità è un concetto complessivo e armonico e che accanto alla sostenibilità ambientale occorre dunque tener conto anche della sostenibilità sociale e della sostenibilità economica. Il paradosso a cui stiamo assistendo è che in nome della sola sostenibilità ambientale si sta compromettendo la sostenibilità economica e la sostenibilità sociale senza procurare alcun beneficio alla prima. È l’assurdo di fronte al quale ci troviamo.

 

Questo accade in un paese la cui Costituzione indica nel lavoro il vero collante e il cui Mezzogiorno è in recessione a conferma del fatto che si dovrebbe imparare a collaborare tutti insieme per convergere su un significativo incremento della crescita e dell’occupazione a partire dai giovani.

 

Invece ci troviamo alla presenza di investitori esteri che a seguito del ritiro della tutela legale loro concessa per poter sviluppare il programma di risanamento e rilancio industriale del sito di Taranto decidono di abbandonare lo stabilimento. Il che dimostra l’incapacità come paese di attrarre investitori o, peggio, una vera e propria abilità a farli andar via ponendo non poche questioni in una fase delicata della vita economica del paese.

 

Ricordiamo quanto sia centrale la produzione di acciaio per un paese industriale come il nostro e quanto incida sulla tenuta economica locale e nazionale e sull’occupazione l’impianto di Taranto con i suoi diecimila dipendenti diretti cui si aggiungono le imprese, i lavoratori e le lavoratrici dell’indotto. Il nostro auspicio è che si creino le condizioni perché la produzione siderurgica rimanga tra gli asset fondamentali della manifattura del paese.

 

Manca nel dibattito pubblico e politico una riflessione potente, profonda, importante sul perché accade tutto questo. Il gioco degli alibi e delle colpe non ci porta da nessuna parte. Forse qualcuno si potrà sentire moralmente a posto, forse una sparuta minoranza di deputati può cantar vittoria perché l’investitore scappa ma non dobbiamo dimenticare che essere ceto responsabile significa trovare soluzioni a problemi complessi senza cedere alle lusinghe della demagogia. Tanto più che mentre noi induciamo alla resa chi vuole investire in Italia, Trump riporta a casa i suoi imprenditori con il reshoring Usa, Putin è riconoscente a chi sceglie d’investire in Russia e lo premia, la Cina si attrezza per diventare la più grande fabbrica a livello globale e va in cerca di grandi connessioni nel mondo e tutti i paesi europei fanno a gara nell’assicurarsi gli investimenti che escono dall’Inghilterra per effetto della Brexit.

 

Occorre dunque recuperare cultura della complessità, buon senso e pragmatismo rifuggendo dalle semplificazioni che sono un mix d’incompetenza e incapacità di valutare l’impatto delle proprie decisioni. Dobbiamo tornare a chiederci quali sono i fini della politica e inaugurare quella politica dei fini che abbiamo invocato fin dalle nostre Assise di Verona nel febbraio 2018 perché il paese smetta di navigare a vista e si dia grandi obiettivi da conseguire nell’interesse generale.

 

Non a caso in questo contesto, anche per evitare che l’Europa diventi il grande alibi per non affrontare i problemi del paese, il 4 e 5 dicembre prossimi si svolgerà a Roma il primo incontro trilaterale tra le Confindustrie italiana, francese tedesca. Un messaggio per sottolineare quanto la questione industriale sia centrale e condivisa tra le prime tre manifatture d’Europa.

 

Occorre svegliarsi dal torpore che ci sta prendendo, uscire dall’angolo nel quale ci siamo cacciati e dal quale si possono guardare le cose da una prospettiva parziale e assolutamente inadatta a risolvere i tanti problemi del paese e tantomeno quelli a vantaggio dei quali si afferma di voler agire.

 

Dobbiamo recuperare invece il senso dell’armonia e dell’equilibrio, della competenza e del limite, per una chiara linea di azione del paese che abbia come stella polare il primo articolo della nostra Costituzione repubblicana: il lavoro, senza il quale non esistono né sostenibilità economica, né sostenibilità sociale, né sostenibilità ambientale. Anzi, in nome di una malintesa sostenibilità ambientale possiamo andare incontro a una sicura insostenibilità economica e sociale.

 

Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria

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