Serviva un premio Nobel per spiegare che non è così facile battere la povertà

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

Il messaggio che arriva dalle ricerche di Banerjee, Duflo e Kremer è che non tutte le misure sono efficaci, tanto meno efficienti, solo perché mosse dalle buone intenzioni

Il premio Nobel per l’Economia 2019 va a Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer “per il loro approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale”. Il riconoscimento dell’Accademia di Svezia è dovuto alle innovazioni e al rigore metodologico attraverso cui hanno letteralmente rifondato l’economia dello sviluppo. Assieme ai loro co-autori, hanno mutuato dalle scienze mediche la tecnica della cosiddetta “randomizzazione” per valutare gli effetti delle politiche a contrasto della povertà. Questa metodologia consiste nell’identificare due campioni rappresentativi della popolazione di riferimento: l’uno (il caso) viene sottoposto a un trattamento – per esempio politiche di contrasto alla povertà – l’altro (il controllo), no. Se si osservano differenze nella variabile oggetto di indagine – la povertà – allora si può desumere che il trattamento è efficace. Altrimenti, va ripensato.

  

Kremer (che oggi insegna all’Università di Harvard) è stato un pioniere in questa tecnica. Per esempio, in Kenya, testò l’ipotesi secondo cui i deludenti risultati educativi potessero essere riconducibili alla scarsità di mezzi economici. In un esperimento sul campo alcune scuole ricevettero una dotazione di libri, altre dei pasti gratis. Tuttavia, nelle scuole beneficiarie degli aiuti gli studenti non mostrarono performance migliori rispetto a quelli delle scuole che non li avevano ricevuti. I risultati di Kremer insegnano che gli aiuti ai paesi in via di sviluppo non sono la panacea a tutti mali. Diversamente, servono riforme mirate che non necessariamente passano per l’elargizione di fondi. Banerjee e Duflo (che insegnano entrambi al Mit di Boston) hanno mostrato, in un importante paper dedicato alle scuole indiane, che la performance dei bambini risentiva positivamente della presenza di percorsi di studio dedicati. Analogamente, l’introduzione di incentivi adeguati per gli insegnanti avrebbe sortito effetti clamorosi nel contrastarne l’assenteismo: anziché assumerli da subito a tempo indeterminato era preferibile ricorrere a contratti di breve termine, rinnovabili per periodi più lunghi solo in presenza di buoni risultati.

 

Il messaggio che arriva dalle ricerche di Banerjee, Duflo e Kremer è che non tutte le misure finalizzate a combattere la povertà sono efficaci, tanto meno efficienti, solo perché mosse dalle buone intenzioni. Coerentemente, i loro studi hanno contribuito a smentire luoghi comuni duri a morire. Per citarne solo alcuni: Kremer ha dimostrato che, nel lungo termine, la crescita economica è positivamente correlata con la crescita demografica. Banerjee ha studiato le conseguenze che le modalità di diffusione dell’informazione hanno sulle scelte poi concretamente compiute dagli esseri umani: un tema particolarmente importante nell’epoca dei social network. Indagando i villaggi indiani, Duflo ha dimostrato che, dove le donne occupano posizioni decisionali, l’allocazione degli investimenti si sposta verso infrastrutture potenzialmente favorevoli alle altre donne. Inoltre, la probabilità che una donna sia eletta è maggiore dopo che un’altra ha già avuto una posizione di responsabilità.

 

In sintesi, il Nobel a Banerjee, Duflo e Kremer sottolinea l’importanza della ricerca seria sulle soluzioni concrete: i problemi vanno esaminati chirurgicamente per poter essere risolti. In politica economica, non si possono estrarre i conigli dal cilindro ma bisogna sempre partire dall’evidenza. Il 2019 sarà anche ricordato come un Nobel per l’Economia da record: Duflo è la più giovane ad averlo mai ricevuto (ha 46 anni) ed è la seconda donna (dopo Elinor Ostrom nel 2009). Inoltre, lei e Banerjee sono la prima coppia ad aggiudicarselo: non mancano i precedenti di collaborazione tra partner (come Elinor e Vincent Ostrom o Milton e Rose Friedman) ma solo uno dei due aveva ricevuto il Nobel. Questa volta, si può proprio dire che amor omnia vincit.

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