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Una pazza alleanza per un'Italia laboratorio del trauma fiscale

Giuliano Ferrara

Il fior fiore degli economisti keynesiani, comunisti e turbocapitalisti esce allo scoperto e tifa Truce sul Financial Times. Sorprese

Personalmente, vista la distretta in cui ci troviamo a botte di approssimazione e peggio, affiderei il governo all’Università Bocconi, con la supervisione a titolo gratuito di Mario Draghi, Francesco Giavazzi e Alberto Alesina quando disponibili. Ma non si può avere tutto nella vita, si sa. C’è un’altra proposta che viene, via Financial Times, dal fior fiore degli economisti keynesiani, comunisti e turbocapitalisti delle due sponde atlantiche. Un governo Salvini-La Malfa di salute finanziaria pubblica, incaricato di dare un bel trauma fiscale al sistema economico italiano, con la partecipazione straordinaria di Massimo D’Alema che non vede l’ora di infliggere agli arricchiti una bella patrimoniale punitiva. Parliamo di Robin Brooks, il capo economista ortodosso dell’Istituto per la finanza internazionale, già Goldman Sachs eccetera, uno che Soros se lo mangia a colazione spalmando il toast con il burro della Commissione di Bruxelles, insomma destra finanziaria turboliberale; Olivier Blanchard, già capo economista del Fondo monetario internazionale, uno di quelli, esperti e gentiluomini, che voleva accollare a tutti gli europei il debito greco, e magari aveva pure ragione, chissà; e Adam Tooze, che ebbi l’onore di presentare per tempo ai lettori del fogliuzzo per un suo mirabile saggio sull’eternità di Keynes nella London Review of Books, che oggi, da solido accademico tra Cambridge e Columbia eccetera, potrebbe fare il capo economista del comunismo turbo cinese (Tooze è nipote di Arthur Wynn, un valente eroico comunista e spia sovietica, ed è fedele alle idee della gioventù di suo nonno).

 

L’idea di tutti loro è che la lettera di Moscovici o chi per lui a Tria è “nonsense”, una sciocchezza. E che il piano del Truce per spendere e spandere, e rinunciare provvisoriamente agli incassi via flat tax o comunque la vogliate chiamare, è okkei. Lo stato deve intervenire in senso anticiclico, e spendere cifre della Madonna, magari facendo attenzione a finanziare l’economia piuttosto che la pigrizia e il lavoro nero (quello era il compito della gigginomics). In pari tempo, assolto questo assioma di vocazione keynesiana, deve praticamente scomparire alla vista dei cittadini, riducendo al 15 per cento l’imposizione fiscale: trauma assicurato, paese salvato, e chissenefrega del debito. I mercati si limitano per ora ad inarcare il sopracciglio dello spread, e la crisi prossima ventura, attesa da cinquant’anni, sarà ancora una volta rinviata: too big to fail, e poi c’è la questione dell’output gap. Pensate che io l’abbia capita? Pensate male. Non l’ho capita, non sono un economista, ma s’intuisce che vuol dire questo: prendete gli indici sul pil, la produzione, i consumi e la produttività e buttateli nel cestino. Cercate invece di immaginare che meraviglie potrebbe fare un’economia, strutturale e finanziaria, sollecitata alla grande dal crollo della diga fiscale e delle regolamentazioni di vario conio. 

  

I 40-50 miliardi e molti spicci di cui parla il Truce quando dice: no aumento Iva, flat tax, infrastrutture, tutto in deficit di bilancio fuori del perimetro delle letterine della Ue. I funzionari di Bruxelles e i bocconiani, riferisce il Ft, si oppongono a questo bengodi, e segnalano il pericolo imminente di una crisi di credibilità del “sistema Italia” (vi piace l’espressione?) sui mercati internazionali. Ma è nonsense, per via dell’output gap. Il Truce deve essersi fatto tradurre il concetto dall’appena eletto Antonio Maria Rinaldi, o da Tremonti, e va avanti sulla sua strada, e siccome è svelto e bullo minaccia di applicare l’eccezione italiana in Europa, quella che fa saltare i conti, le compatibilità, il dogma delle economie convergenti, con molta agilità politica.

 

Al contrario di Diego Fuffaro, il filosofo anticapitalista che non scopa, lo dice lui in tv, e voleva prendere i voti a Gioia Tauro, ma non li ha presi, il Truce li ha presi, i voti. Nel frattempo quel gentiluomo e galantuomo di Giorgio La Malfa, figlio dello splendido uomo di stato Ugo, una schiatta che se ne fotte da sempre di destra e sinistra, e bada al sodo, ha presentato ai Lincei, che non sono la Link University di Scotti e D’Alema, una pregevole ripubblicazione per i Meridiani Mondadori dell’opera somma di Keynes, la Teoria generale, di cui si parlerà più avanti. E per confermarsi, questo oxoniense di vaglia, leader di una minoranza colta e intransigente, flirta con Stefano Fassina e altri populisti de gauche provenienti dal Fmi, che anche loro i voti non li hanno presi, ma nel prossimo governo potrebbero fare la loro figura. Spendere, spandere e rinunciare agli incassi, il tutto per garantire un buon funzionamento dei mercati, dello stato e della società italiana, pronta a recepire il messaggio. L’euro è un nonsense, lo si può aggirare e ribaltare senza bisogno di rinunciarvi. Chissenefrega dell’asse franco-tedesco, e da fuori Boris Johnson darà una mano. Sopra tutto darà una mano Trump, il miglior nemico del caro amico Putin, uno che i voti li ha pescati anche lui, e che presiede a un ciclo economico da trauma fiscale pimpante ed esorbitante. Bruxelles dovrà stare a guardare, e in Giappone mica stanno sempre a discutere del debito pubblico, che è quasi il doppio del nostro.

 

Avevamo per tempo qui segnalato che i capitalisti, Michael Milken compreso, vedi tu gli anni Ottanta fatali, si sono un po’ stufati del capitalismo con le sue regole di stato e mercato. Vogliono lottare contro le disuguaglianze. Reimpostare le basi del commercio internazionale. Non saranno quegli untorelli dei bocconiani a impedirglielo. E per l’Italia, contro il nonsense di Bruxelles, è pronta la soluzione del governo lega-keynesiano. La letterina è stata pubblicata ieri dal Ft, preoccupato del distacco insulare e di qualche impaccio che ne possa derivare alla City, ma up to a point, finché almeno si possa contare sul piano B peninsulare.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.