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Un voto della Madonna: è l'Italia il malato d'Europa

Claudio Cerasa

L’anomalia del nostro paese è politica, economica e diplomatica. Dove porta il successo di Salvini (e perché i guai per l’Italia sono appena cominciati)

Un voto della Madonna. Trovare un filo conduttore capace di dare un senso generale alle elezioni di domenica scorsa è una missione complicata se si sceglie di passare troppo tempo a concentrarsi sui dettagli dei collegi, sui flussi elettorali, sugli scenari futuri e se si decide di ignorare quella che è la vera ciccia del voto europeo. La ciccia ci dice che in tutta Europa vincono i partiti europeisti (Germania, Spagna, Grecia, Danimarca, Slovenia, Olanda) ci dice che crescono i partiti liberali (l’Alde otterrà il miglior risultato della sua storia superando i 100 seggi), ci dice che non sfondano i partiti nazionalisti (tranne in Italia, in Francia e la spassosissima Inghilterra), ci dice che migliorano i Verdi (da 50 a 70 seggi) e ci dice che tra i grandi del continente il paese che mostra lo stato di salute peggiore coincide ancora con il profilo dell’Italia. L’Italia è il malato d’Europa quando si parla di economia, quando si parla di bassa crescita, quando si parla di alta disoccupazione, quando si parla di alta sfiducia, quando si parla di alto deficit, quando si parla di alto debito, quando si parla di alto spread, ma lo è anche quando si parla di politica.

 

Il tonfo clamoroso del Movimento 5 stelle di Luigi Di Maio, passato nel giro di quattordici mesi dal 32,7 per cento al 17,7 per cento (con sei milioni di elettori persi per strada), rappresenta una buona notizia per tutti coloro che considerano il grillismo una minaccia per la crescita del paese, per la creazione di lavoro, per la democrazia rappresentativa e per lo stato di diritto. Ma il fatto che a incarnare oggi il volto dell’alternativa all’esecutivo a guida grillina sia il partito che ha condiviso negli ultimi dodici mesi l’esperienza di governo con il Movimento 5 stelle è indice di una serie di problemi che riguardano le molte anomalie che fanno dell’Italia il malato d’Europa.

  

L’Italia è oggi il malato d’Europa perché l’alternativa a un partito populista è rappresentata da un altro partito populista che è riuscito a fare negli ultimi mesi quello che l’alternativa naturale non è riuscita a fare: conquistare la fiducia degli elettori indignati per la traiettoria imboccata dal governo. La crescita della Lega dipende in buona misura dall’abilità di Salvini, ma anche dalle performance dei partiti di opposizione che nel giro di un anno, di fronte a un governo-barzelletta, nel migliore dei casi sono cresciuti di un po’ e nel peggiore dei casi sono crollati ancora un po’. Il sorpasso riuscito al Pd sul M5s è prezioso dal punto di vista simbolico (da oggi in poi Nicola Zingaretti potrà dire di essere la prima alternativa al primo partito d’Italia) ma è un risultato avvenuto più per demeriti del M5s che per meriti evidenti del Pd (il Pd allargato ha guadagnato quattro punti rispetto alle politiche, si trova davanti cinque punti al M5s, vale circa il triplo di Forza Italia, ma a fronte di un grande allargamento della lista non è riuscito a catturare l’astensionismo, che in Italia è stato uno dei più alti d’Europa, ed è riuscito a perdere 121 mila voti rispetto al 2018).

 

Il vecchio bipolarismo populista – con Lega e M5s unici padroni della scena politica – potrebbe essere dunque un fenomeno superato, come dimostrano anche le amministrative, dove il M5s è rimasto fuori da tutti i ballottaggi delle grandi città tranne Campobasso, ma l’Italia resta uno dei pochi paesi in cui i partiti europeisti faticano (la somma di Lega, M5s e Fratelli d’Italia, partiti euroscettici, arriva al 57,8) e in cui non vi è alcuna esperienza centrista e liberale (eppure, come dimostra l’alta astensione e il collasso di Forza Italia, lo spazio ci sarebbe) in grado di arginare la crescita del populismo nazionalista. La malattia dell’Italia è di carattere economico, è di carattere politico, ma rischia di essere anche di carattere diplomatico se si prova a capire quale può essere il futuro dell’Italia nel rapporto con i futuri azionisti di maggioranza della nuova Europa.

 

La Lega di Salvini è forte in Italia – la somma tra i voti della Lega e quelli di Fratelli d’Italia fa 40,8 per cento, esattamente quanto prese Renzi nel 2014 con il Pd, e per quanto Luigi Di Maio, come ha lasciato intendere ieri, sembra essere disposto a tutto pur di non andare alle elezioni, con questi numeri sarà difficile per Salvini resistere a lungo alla tentazione di capitalizzare il suo consenso – ma all’interno del Parlamento europeo paradossalmente conterà meno del Pd. E avendo scelto di stare alla larga dall’unico gruppo parlamentare dove avrebbe potuto contare qualcosa (il Ppe) rischia di non toccare palla nelle più importanti partite che giocherà nei prossimi mesi: nomine dei commissari (vedi il nostro primo editoriale a pagina tre), presidenze delle commissioni (l’Italia dovrebbe fare fronte comune per confermare Roberto Gualtieri alla presidenza della Commissione per i problemi economici e monetari), successione nel board della Bce (il mandato di Draghi scade a fine ottobre e i giochi si faranno al Consiglio europeo del 30 giugno). Le anomalie che fanno dell’Italia uno dei malati d’Europa sono quelle che abbiamo appena elencato ma a queste ne va aggiunta un’altra che rischia di aggravare ulteriormente i problemi del nostro paese: il futuro della maggioranza di governo.

 

Al contrario di quello che farà credere il cretino collettivo vittima del populisticamente corretto, il travaso di voti dal M5s alla Lega non nasce per ragioni legate a strategie errate messe in campo dal M5s ma nasce per ragioni legate ai risultati ottenuti in un anno da una maggioranza di governo a trazione grillina. Da questo punto di vista, il voto alla Lega è una richiesta disperata di alternativa e più Matteo Salvini tarderà a prendere atto della necessità di dare un’alternativa al paese e più l’Italia pagherà le conseguenze di avere una maggioranza zombie, sfiduciata dagli elettori, dannosa per l’economia, isolata in Europa.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.