Matteo Salvini (foto LaPresse)

Tutte le analisi e i dati per capire come sono andate le elezioni Europee

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

Premessa, e ci si torna poi: i mercati europei vanno tutti bene tranne quelli che hanno a che fare con l'Italia, il salvinismo genera incertezza e allontana gli investitori, con lo spread tornato rapidamente sopra a 280. I prossimi giorni saranno molto difficili, a meno di clamorose abiure del programma economico leghista. Fine della premessa, perché a cena si salta da un tema all'altro, in modo disordinato, e qui ci adeguiamo al nostro compito. Allora, i dati li conoscete ma facciamo un ripassino veloce.

 

E diamo anche una guardata alle preferenze, come sempre molto significative (le Europee, per il basso numero di posti disponibili e l'estensione dei collegi, sono sempre due elezioni in una, due partite in una).

  

Visti i risultati, subito una prima considerazione da provare a trasferire agli amici a cena: Salvini vince numericamente ma non è detto che abbia vinto politicamente. Perché ora deve riempire di qualche straccio di contenuti, cioè di politiche realizzabili, tutto lo spazio che potenzialmente gli viene aperto da così tanto consenso. E' dura, però, perché finora ha basato tutta la sua azione su obiettivi propagandistici efficaci ma irrealizzabili, come la flat tax, l'isolazionismo sovranista, l'espulsione dei mitici 600mila migranti, la chiusura dei porti, la sicurezza fai-da-te attraverso le armi in casa, e via dicendo... e certamente non lo aiutano gli eletti, con anti europeisti e anti euro come Rinaldi o Donato, personaggi del folle mondo televisivo e internettiano, destinati alla solitudine politica a Bruxelles.

  

Altro argomento interessante e che può divertire: ha perso il governo, la cui maggioranza poggia per due terzi e anche più sui 5 stelle, cioè sul partito duramente sconfitto in questa tornata. E non vale a compensare l'affermazione della Lega (con il buffo rovesciamento dei rapporti tra alleati di governo tra 33% e 17% e 17% e 34% tra le Politiche e le Europee) perché la maggioranza ha a che fare con il Parlamento attuale e non con il prossimo. Insomma va avanti un governo zombie, il cui sostenitore principale è stato impallinato dagli elettori e che vive solo di una forza virtuale. E il governo perde anche sul fronte delle realizzazioni. Bruxelles si prepara a mettere sotto pressione la divergenza italiana sul debito. Una decisione con super multa ai danni dell'Italia (si dice 4 miliardi di euro) è in arrivo e gli spazi di negoziato sono minori che in passato. Lo spread ha reagito con una salita ripidissima, praticamente in parallelo all'asse delle ordinate.

 

 

Forza virtuale quella di Salvini che però, per diventare attuale, dovrà passare attraverso il passaggio delle elezioni politiche (quando arriveranno). E si sa bene come trasferire i buoni risultati alle europee in buoni risultati alle politiche non sia mai scontato, anzi...

 

 

Racconto di uno scrutatore da Roma: le schede del Pd erano tutte con preferenze, quelle della Lega una X di corsa e via. Insomma: il voto per il Partito democratico è più legato a un'appartenenza politica e frutto di convincimento profondo, il voto leghista, almeno a Roma, è sembrato più impulsivo, tipicamente protestatario ma senza saper bene contro cosa (visto che la Lega governa e i suoi alleati amministrano la città). La distribuzione dei voti comunque parla chiaro e conferma la vulgata sul Pd forte delle grandi città.

 

Era importante la sfida per il Piemonte e l'ha vinta Cirio sconfiggendo l'uscente, il dem Chiamparino. Per il Pd è una brutta pagina, anche se la distanza iniziale nei sondaggi segnalava una vittoria quasi impossibile. Chiamparino ha recuperato ma non è bastato. E così va alla vittoria il senatore di Forza Italia, completando quindi, con l'ultima regione del 2019, l'accordo a tre nel centrodestra di cui va riconosciuta la piena disciplina interna. In Piemonte, tra l'altro, era una sfida tra favorevoli al completamento della Torino-Lione, sia pure con sfumature diverse.

 

Poi ci sono tanti comuni importanti in cui si è votato.

 

La Lega sfonda in molti comuni ma non a Firenze e a Bergamo, Nardella riconfermato al primo turno festeggia e Renzi pure. E anche Gori passa al primo turno, come De Caro a Bari. Ed effettivamente uno può fare tutte le analisi raffinate che vuole ma succede che due sindaci con un indiscutibile tratto renziano (seppure vissuto in modo diverso da ciascuno dei due) passino al primo turno, quindi con un fortissimo successo e in controtendenza, e insomma forsequalcosa vorrà dire. E poi c'è un altro vincitore, stavolta non renziano: è Matteo Ricci a Pesaro.

 

 

A Livorno si va al ballottaggio, ma escludendo i 5 stelle dopo la prova deludente di Nogarin (che però viene eletto al Parlamento Ue), la Lega prende Perugia (prevedibile dopo l'exploit umbro delle Europee).

 

I 5 stelle sono stati semplicemente il partito anti Pd e al calo del "pericolo Pd" o del "pericolo renziano", come erano percepiti da parte dell'elettorato, i 5 stelle si sono svuotati. Sono nati con un vaffa anti sistema quando governava Berlusconi, sono cresciuti con Monti e si sono dati veramente un posizionamento solo facendo la guerriglia contro Bersani/Renzi/Martina/Zingaretti, trasformati in simboli dell'odiato sistema. Forza Italia è ovviamente nemico ormai troppo ridotto per consentire questo tipo di giochino. Con la Lega invece sono alleati di governo e quindi come partito oppositore del potere leghista sarebbero un po' ridicoli. Insomma, hanno finito la benzina, mentre il monopolio del risentimento, per quanto possa durare, è diventato appannaggio della Lega.

  

Il caso umano di Luigi Di Maio. Finalmente ha parlato per dire che non fa niente, questo voto non conta, lui certamente non lascia e tutto prosegue. In giro ci si sorprende, ma voi, a cena, potrete osservare che tutto ciò fa parte dell'anomalia a 5 stelle ed è perfettamente coerente con essa. Come qui si ricorda spesso e come sappiamo grazie al Foglio, Di Maio risulta agli atti come fondatore e capo politico del movimento 5 stelle, e tutto ciò è avvenuto ed è stato deciso in ambiti ristretti, in sede sostanzialmente notarile, quando si è scritto l'ultimo statuto. E allora, non avendo un organismo da cui dipende al sua carica, se non vuote assemblee interne, non si deve perché dovrebbe dimettersi o aprire chissà che processo di successione. Semplicemente non è previsto dal ruolo e lui, con la stessa e solita carica robotica, va avanti. Solo Casaleggio, altro fondatore statutario, potrebbe forse imporgli l'uscita.

  

 

Intanto saltano governi sovranisti.

 

 

E soprattutto c'è il futuro industriale dell'auto che si va definendo con l'accordo avviato oggi e destinato a completarsi entro un anno tra Fca e Renault-Nissan-Mitsubishi. Prima mossa da parte di Fca, con la lettera di interesse resa pubblica dal gruppo, e poi, molto rapidamente, la risposta del Cda di Renault, condita dai sorrisi del governo francese e di quello italiano (ma non si sa bene che ne pensino i 5 stelle, oggi particolarmente silenziosi). Il concetto alla base della super fusione lo sentirete ripetere spesso ma è molto semplice: nel settore automobilistico servono grandi investimenti a fronte di ricavi unitari più bassi di altri settori industriali. Insomma, si guadagna ma poco e la competizione è dura. Allora meglio riuscire a fare economie di scala nella parte iniziale della catena che parte dall'investimento e arriva al prodotto finale, quindi riducendo la necessità di immobilizzare capitale in proporzione ai ricavi. Lo diceva già Sergio Marchionne, impostando la sua politica di aggregazioni. E' grazie al suo lavoro iniziale straordinario, con la fusione di Fiat con Chrysler (e quindi Jeep e Dodge) , che il gruppo,rafforzato, è potuto accedere a un accordo paritario con Renault, la cui integrazione con Nissan non era mai diventata pienamente in grado di generare i vantaggi di un accorpamento su scala mondiale. Ora la logica dovrebbe cambiare (e forse l'uscita di scena dell'ex Ceo Carlos Ghosn ha aiutato) e le integrazioni intragruppo dovrebbe dispiegare una grande capacità di efficienza non solo nel rapporto tra capitale e ricavi ma anche nelle classiche economie di scala. Anche se si è detto che non ci saranno impatti su localizzazione e personale negli stabilimenti produttivi, rassicurando sia i sindacati italiani sia quelli francesi (che però chiedono al loro governo di mantenere, attraverso la quota azionario in Renault, qualche forma di potere di veto su alcune decisioni future del nuovo gruppo).

  

John Elkann parla di decisione presa con coraggio.