Luigi Di Maio (foto LaPresse)

I quattro livelli della sconfitta di Di Maio, più piuma che ago

Luciano Capone

Fallimento del governo, fallimento europeo, fallimento locale, fallimento di consenso. Per il resto, un successo

Roma. “Per noi le elezioni europee sono andate male”, ha dichiarato Luigi Di Maio in conferenza stampa al ministero dello Sviluppo economico. Quella che in ogni altra circostanza, al termine di una tornata elettorale con risultati deludenti, sarebbe una sincera presa d’atto, in questo caso risulta essere un eufemismo. Perché la formula “le elezioni europee sono andate male” non coglie la dimensione di un tracollo che va ben al di là della perdita di 6 milioni di voti e del dimezzamento del dato percentuale in un solo anno. Quella del M5s è infatti una sconfitta multilivello (europea, nazionale e locale) e una bocciatura totale della strategia indicata dal suo Capo politico.

 

 

Partiamo dalla sconfitta nazionale. Come accade sempre, e lo si è visto dai temi usati in campagna elettorale, le elezioni europee in Italia avvengono soprattutto su questioni nazionali e inevitabilmente sono un giudizio sul governo. E’ esattamente quello che ha chiesto Luigi Di Maio, un voto su un anno di governo: il vicepremier è stato il frontman della campagna elettorale grillina, si è presentato in televisione per chiudere la campagna elettorale con i ministri del M5s e dall’inizio dell’anno ha preteso in tutti i modi che il reddito di cittadinanza – la misura bandiera del M5s – venisse erogata prima delle elezioni. Un po’ come aveva fatto Matteo Renzi con il bonus 80 euro prima delle europee del 2014. Solo che la risposta degli elettori è stata diversa e inequivocabile: se il Pd quasi raddoppiò i suoi voti (passando dal 25 per cento delle politiche al 40 delle europee), il M5s in un anno i voti li ha quasi dimezzati (è sceso dal 32 al 17 per cento). Il reddito di cittadinanza è dannoso per i conti pubblici, ma – a differenza del bonus 80 euro – si è anche rivelato molto costoso in termini politici per chi l’ha voluto. Ora, dopo aver bruciato capitale economico (collettivo) e capitale politico (personale), per Di Maio sarà difficile rilanciare un partito in restringimento in tempi di ristrettezze economiche.

 

 

Il secondo livello di sconfitta è quello locale. “Dobbiamo riorganizzare il Movimento sul territorio affinché sia più efficace ed efficiente”, ha detto Di Maio. Qui la situazione è peggiore. Il voto delle amministrative conferma quella che è ormai una legge ferrea: nessuna amministrazione del M5s viene riconfermata. I grillini hanno perso malamente in tutte le città che amministravano: Livorno, Avellino, Civitavecchia e Nettuno. La stessa cosa era accaduta in Sicilia con Gela e Bagheria. E così accade da sempre: chi prova il M5s al governo, lo manda a casa alla prima occasione possibile. In una certa misura si può dire che il dato locale – evidente anche nei dati della Torino di Chiara Appendino – e quello nazionale coincidono, confermando la ferrea legge del grillismo: se l’hai provato lo eviti.

 

Il terzo livello, dove la sconfitta è più pesante, è quello europeo. Di Maio si è presentato in campagna elettorale e nel palcoscenico internazionale come il novello Lorenzo de’ Medici d’Europa: il suo obiettivo strategico era creare un nuovo gruppo parlamentare guidato dal M5s che diventasse “l’ago della bilancia” a Bruxelles. Per questo progetto politico, il vicepremier è andato a raccattare partner improbabili in tutto il continente: i gilet gialli golpisti francesi; gli squatter croati (Zivi zid); il fasciopunk polacco (Kukiz); gli allevatori greci (Akkel); i liberisti finlandesi (Liike nyt); i verdi conservatori estoni (Elurikkuse Erakond). Sono andati tutti male: alcuni non hanno superato l’1 per cento, quasi tutti non hanno superato le soglie di sbarramento, solo i croati hanno eletto 1 parlamentare europeo. Per fare un gruppo di deputati ne servono almeno 25 e di 7 paesi diversi. Per cinque anni il M5s è stato nel gruppo di estrema destra Efdd cercando di andare altrove (con i liberali dell’Alde o con i Verdi), senza mai riuscirci. E ora è senza casa, completamente ininfluente. La misura del fallimento politico è il peso politico del M5s: messo sul piatto della bilancia, il suo 17 per cento in Europa non conta nulla. Di Maio voleva diventare “l’ago della bilancia”, ma si è rivelato una piuma.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali