Matteo Salvini con l'ambasciatore americano Eisenberg (foto Imagoeconomica)

Terzi ci dice perché non esiste alcuna svolta trumpiana di Salvini

Francesco Maselli

“Nessuna evoluzione: i rapporti tra i dirigenti della Lega e la Russia sono ancora stretti”. Parla l’ex ministro degli Esteri

Roma. Dice Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore italiano negli Stati Uniti, che il viaggio di Salvini a Washington è una tappa obbligata per un politico italiano in rampa di lancio. Lo staff del leader della Lega lavora alla visita da settimane, consapevole dell’importanza dei rapporti con l’Amministrazione Trump: “In questi contesti ci si muove di persona”, ci spiega Terzi. “Per capire le dinamiche della politica estera è necessario avere conoscenza diretta non soltanto dei dossier, ma anche di chi prende le decisioni”. Donald Trump per Matteo Salvini non è tuttavia soltanto politica estera, ma anche propaganda interna. Non a caso la sera della vittoria elettorale alle europee, nella sua scrivania montata a favor di telecamere, campeggiava un cappellino blu con lo slogan del tycoon americano “Make America Great Again”. Secondo Terzi: “Esiste sicuramente una finalità di propaganda in questi viaggi, negarlo sarebbe ingenuo. Ma credo che il ministro dell’Interno possieda gli strumenti e l’interesse per approfondire i temi che gli sono stati sottoposti”.

 


L'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata (foto LaPresse)


 

Matteo Salvini ha impresso un notevole cambiamento nel suo rapporto con gli Stati Uniti. Lo scorso autunno il leader leghista era a Mosca, in una visita non ufficiale organizzata per parlare con gli imprenditori italiani: “Mi sento più a casa qui che in altre capitali europee”, aveva detto in quell’occasione, un modo per riaffermare la sua posizione filorussa. Poi, i contatti con gli Stati Uniti si sono moltiplicati: a febbraio il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi ha passato due settimane in America per parlare dei progetti per il paese, a marzo Giancarlo Giorgetti è volato a Washington per rassicurare sulla tenuta dei conti pubblici. Non sarà una giravolta, ma i leghisti hanno capito che è difficile conquistare Palazzo Chigi se si è percepiti come uomini del Cremlino. Terzi non è d’accordo con questa interpretazione. “I rapporti tra i dirigenti della Lega e Mosca sono ancora molto stretti, e soprattutto non vedo un’evoluzione rispetto a Trump, quanto una continuità. Salvini si è avvicinato a Trump quando era ancora in campagna elettorale, e si è sempre detto molto vicino alle idee dei repubblicani: linea dura sull’immigrazione, grandi sgravi fiscali alle imprese, difesa degli interessi nazionali. Questo viaggio è coerente”.

 

La questione dell’accordo sul nucleare civile iraniano, che Donald Trump ha deciso di stracciare nonostante il parere contrario dell’Unione europea, è per Giulio Terzi un dossier cruciale che Salvini ha affrontato in questi giorni di visita: “E’ il vero elemento di dissidio tra Bruxelles e Washington, che si manifesta attraverso i meccanismi che gli europei stanno implementando per favorire degli scambi merci, per aiutare gli iraniani a sottrarsi alle sanzioni. Questo ci pone in rotta di collisione con l’America, le sanzioni statunitensi sono immediatamente applicabili come sanno bene le nostre banche. Su questi temi un’opera di mediazione va fatta”. Un dossier su cui la tanto sbandierata amicizia tra Trump e Salvini ha dato frutti limitati è quello libico: a pochi giorni dall’inizio dell’offensiva del generale Haftar contro Tripoli e il governo riconosciuto dall’Onu, il presidente americano ha chiamato il generale legittimandolo come uomo forte in Libia. Non proprio una mossa da amico: “Trump non ha preso una posizione a noi favorevole, però il nostro governo deve essere consapevole che per gli americani la Libia non è una priorità. Salvini dovrebbe capire che dobbiamo smettere di litigare con i francesi e trovare una soluzione con loro. E’ così che possiamo cominciare a risolvere il caos libico. Soprattutto sarebbe ora di allargare lo sguardo: se non investiamo politicamente nel Sahel, di concerto con i francesi che lì sono molto presenti, non possiamo contare in Libia”.