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La produttività si è fermata a Roma

Il nemico della crescita non sta a Bruxelles o Francoforte ma in Italia

Il rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi dice molto e rivela persino di più. “Tra il 2000 e il 2016 – si legge – [la produttività] è aumentata dello 0,4 per cento in Italia, di oltre il 15 per cento in Francia, Regno Unito e Spagna, del 18,3 per cento in Germania”. Nel periodo più recente, “la dinamica del pil è stata frenata dalla significativa decelerazione delle componenti interne di domanda”. Infine, nel 2018, “soprattutto durante la seconda metà dell’anno, è andato delineandosi un quadro di crescente incertezza, con un ridimensionamento dei segnali di progressiva diffusione della ripresa ravvisati nel 2017”.

 

Queste parole smascherano il vero responsabile della stagnazione italiana (la produttività), scagionano il presunto colpevole (l’euro) e fanno emergere un complice (il governo Conte). Se la moneta unica fosse lo strumento del complotto tedesco contro i paesi dell’Europa meridionale, anche paesi come Spagna e Portogallo dovrebbero seguire la nostra parabola, invece continuano a crescere. Inoltre, l’export dovrebbe soffrire, ma sono proprio le imprese esportatrici a tenere in piedi l’intero paese. Sgombrato il campo dai sospetti, non resta che una conclusione: il nemico non sta a Bruxelles o Francoforte ma a Roma, e il governo non sta facendo nulla per risolvere i problemi. Anzi. Non riduce il carico fiscale ma aumenta le tasse; non sgrava le spalle dei ceti produttivi ma finanzia una nuova casta di beneficiari della spesa pubblica; non rende il settore pubblico e quello privato più efficienti ma offre protezione all’uno contro l’innovazione e all’altro contro la concorrenza; non stimola la produttività del lavoro ma rispolvera slogan da anni Settanta sul salario come variabile indipendente. Per sovrappiù, la maggioranza alimenta quel clima di incertezza che spiega il rallentamento degli investimenti e il tonfo del pil. Il governo dovrebbe prendere atto dei dati che arrivano dalla “sua” Istat e trarre le dovute conseguenze: ripensare a tutto ciò che sta facendo, e fare il contrario.

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