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Moody's e il domino bancario nell'Italia gialloverde

Renzo Rosati

Downgrade, alti costi di funding, credito strozzato. Si vede lo stesso film del 2011, e poi fu recessione

Un livello di spread a 320 “non è la febbre a 40 ma neanche a 37: è un livello che non possiamo mantenere a lungo, non tanto per gli interessi sul debito ma perché pone un problema al sistema bancario”, ha detto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. E’ comprensibile la preoccupazione: dopo l’Italia, Moody’s ha declassato le nostre principali banche. Unicredit, Intesa, Credem, Cassa centrale Raiffeisen e banca Imi scendono da Baa1 a Baa2. Mediobanca, Bnl e Fca Bank che erano riuscite a riportarsi in zona A scendono da A3 a Baa1. Cassa depositi e prestiti e Invitalia seguono il destino del controllore Tesoro scivolando da Baa2 a Baa3. Moody’s non si è mossa in modo automatico né uniforme – il rating delle maggiori banche supera di uno o due livelli quello italiano – riconoscendo che “le condizioni del credito sono moderatamente migliorate in seguito ad un calo concreto dei Non performing loans (Npl): i crediti problematici rispetto al picco di oltre il 18 per cento del 2015 scenderanno all’11 entro la fine del 2018 – scrive l’agenzia – e proseguiranno nel 2019”. Non si scorgono particolari pregiudizi in questi declassamenti, che riguardano anche aziende come Eni, Poste, Snam, Italgas e Terna ma non Edison ed Enel, né soprattutto Generali che ha in portafoglio una gran massa di Btp. Ma peggiora vistosamente la situazione del credito, e non solo per il downgrade al quale tra poche ore potrebbe aggiungersi quello di Standard & Poor’s. Si moltiplicano le segnalazioni ufficiose di banchieri su difficoltà crescenti nell’accesso al funding, il finanziamento tramite obbligazioni (che incidono per il 20 per cento sull’approvvigionamento delle banche) o agevolate dalla Bce, il cui programma di Quantitative easing è in scadenza. Contemporaneamente accelerano i deflussi di capitali dall’Italia monitorati dalla Banca d’Italia, che riguardano non solo i 75,7 miliardi da maggio ad agosto (tre quarti riferiti a Btp), ma soprattutto ciò che avverrà fino a dicembre, compresi i denari di privati italiani che prendono la via dell’estero. L’accesso al finanziamento è una specie di bomba a orologeria, già innescata per i bond cancellati o rinviati da banche in precarie condizioni come Mps e Carige.

 

Alla Bce fanno sapere che l’haircut, la stretta sulle garanzie richieste per operazioni di rifinanziamento a breve (pratica normale che esula dal Qe), si fa più severo da tre a sei volte rispetto a quello di paesi con rating A.

 

Lo spread triplicato – ieri ancora oltre 320, mentre in Borsa i titoli bancari hanno perso nel complesso il 3 per cento – è finora costato 7 miliardi di valore dei Btp detenuti dalle banche: l’idea di Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Paolo Savona di “controllare” uno spread fino a 400 punti è sempre più un azzardo. Secondo Antonio Forte, economista del Centro Europa Ricerche, l’indice di solidità del sistema bancario italiano (rapporto tra capitale proprio e crediti erogati) si è ridotto da aprile di 70 punti: o le banche si ricapitalizzano dello stesso importo o riducono di 53 miliardi i prestiti. Si riparla dunque di credit crunch, la stretta che dal 2011 portò da una parte alla svalutazione dei capitali bancari e dall’altra alla chiusura del credito per le piccole e medie aziende mentre per le grandi si tradusse in tassi dal 5 (per gruppi tipo Fca) al 10 per cento. Allora la massa di credito erogato si era ridotta fino al 40 per cento, per poi risalire, con punte nel 2017, grazie alla politica accomodante della Bce, alla ricapitalizzazione e fusioni bancarie e alla stabilizzazione politica.

 

Nel 2018 Unimpresa ha già rilevato un calo di 45 miliardi nei prestiti alle piccole aziende, 29 dei quali a lungo termine. Dopo l’Ufficio parlamentare di bilancio, che si è rifiutato di vidimarla, anche Ref Ricerche, specializzato nell’impatto delle leggi sui servizi pubblici, boccia la manovra sul suo obiettivo principale, la crescita: “Gli effetti espansivi, non solo in termini generali di pil ma di benefici per le persone e di occupazione, saranno annullati dallo spread e dalla riduzione del credito”. Mentre Giovanni Cuniberti, analista di Gamma Capital Markets, prevede che la situazione delle banche potrebbe migliorare, e i titoli rivalutarsi, solo “con un accordo fra governo ed Europa”, o senza accordo “se arrivano un governo tecnico o la Troika”, mentre in un terzo scenario, l’uscita dall’Ue e dall’euro, “una difesa sarebbe rappresentata da titoli in valuta estera e dall’apertura di conti all’estero”. Situazione che in parte esiste già. Di Maio annuncia che “monitorerà attentamente la situazione delle banche”. Altra minaccia?

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