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La lezione di Sergio Marchionne

Nicola Bedin

L'ex amministratore delegato di Fca ha mostrato nel suo lavoro un modello di leadership. Un insegnamento per chi fa impresa 

Si può imparare dai propri errori. E – certo – si impara anche studiando. Ma credo che sia fondamentale non lasciarsi scappare la possibilità di imparare dall’esempio degli altri. Dobbiamo osservare il mondo attorno a noi e i comportamenti delle persone, per trarne informazioni su cosa è meglio fare e non fare. E non dobbiamo mai pensare di saperne abbastanza: “io so di non sapere”, diceva Socrate. A chi fa impresa, Sergio Marchionne ha lasciato una serie di insegnamenti. Eccone alcuni:

 

Il leader moderno non è un iper-specialista, ma un colto-generalista. Nel governo di aziende o di situazioni complesse in generale sono richieste diverse competenze: non basta saper organizzare la gestione ordinaria, è necessario saper affrontare anche partite straordinarie. E per poterlo fare bisogna essere non solo manager nel senso tradizionale del temine, ma anche avvocati (o, meglio, avere dimestichezza con il diritto), uomini di finanza (o, meglio, conoscerne le regole), psicologi (o, meglio, saper capire le situazioni e gli interlocutori), negoziatori, e così via. Non è un caso che Marchionne avesse due lauree, di cui una in filosofia (la prima) ed una in giurisprudenza, ed avesse conseguito un master in economia. Cito tre esempi esempi. 

  

Nella strabiliante vicenda della put & call con General motors del 2004, Marchionne stravolse ogni aspettativa, portando nelle casse della Fiat 2 miliardi di dollari, anche perché aveva potuto giocare quella partita di poker essendo pronto in prima persona a comprendere in tempo reale le poste in gioco, l’impatto economico attuale e prospettico, la “tenuta” della controparte. Un iper-specialista avrebbe ad esempio solo potuto cogliere il dettaglio della singola clausola contrattuale, ma perdendo il quadro generale, la big picture.

Nella storica acquisizione di Chrysler, Marchionne con John Elkann ha mostrato innanzitutto di sapere cogliere un’opportunità strategica, alzando quindi lo sguardo dal day-by-day. E la complessità dell’operazione testimonia di una capacità di “dominare” più materie contemporaneamente. Certo, si è avvalso di collaboratori esterni ed interni (ci mancherebbe altro!), ma soprattutto per andare nel minuto dettaglio: a tirare le fila con John Elkann c’era lui e la sua cultura trasversale.

Gli scorpori e le razionalizzazioni societarie (Fca, Cnh, Ferrari), e le relative autonome quotazioni, denotano anche capacità di cogliere che la creazione di valore si consegue anche attraverso l’emersione delle identità specifiche e riconoscibili (ad esempio, dando evidenza del fatto che Ferrari è quasi più luxury goods che non automotive). Di nuovo, anche questa visione richiede multidisciplinarietà.

  

Pensare l’impensabile. Il leader moderno è chiamato a rompere gli schemi, a non rassegnarsi allo status quo. Assistiamo spesso a gestioni “notarili”: si prende atto che le cose sono sempre state fatte così, e ci si ferma. Si tratta di un approccio passivo, che condanna le organizzazioni a morire. Marchionne ci ha invece insegnato ad andare oltre, pensando al futuro in modo non convenzionale. Ciò non vuol dire essere “originali” per il gusto di esserlo, tutt’altro. Significa essere visionari.

  

Stare in azienda, non nei salotti. Era un uomo di azione, più che di conversazione. Ha confermato a tutti che le azioni contano più delle chiacchiere. Questo è un monito importante: credo che ci abbia insegnato ad esempio a non cedere alle lusinghe della politica (possono compromettere il focus sul core business e “contaminarlo”) e dei riflettori (sottraggono tempo al resto senza apportare nulla se non un effimero appagamento della vanità).

  

Seguire le proprie passioni, non il denaro. Marchionne non si è mai risparmiato nel lavoro. Questa energia e questa determinazione sono state possibili perché – come diceva lui – adorava quello che faceva. Il denaro può essere una motivazione solo parziale, e non la prima, altrimenti si sarebbe potuto accontentare già molto tempo fa. Invece la tenacia è continuata perché ispirata da una spinta più forte: la passione.

  

I risultati costano fatica. Nessuno può pensare che le performance di Marchionne siano venute senza lacrime, sudore e sangue. Questo è un esempio per tutti. Nulla cade dal cielo. Lo stesso John Elkann ha ricordato come abbiano “vissuto insieme successi e difficoltà, crisi interne ed esterne”. Non va dimenticata la resistenza e la tenuta fisica nel lavoro di Marchionne.

  

Bisogna essere audaci. Il coraggio a Marchionne non è certo mancato. Carl von Clausewitz sosteneva che un condottiero dovesse avere “un’audacia accompagnata dal giudizio ponderato” giacché “tanto più il comando è elevato, tanto più cresce la responsabilità della conservazione degli altri e del benessere collettivo”. Questa miscela rende l’audacia una “forza veramente creatrice”, aggiungeva il generale prussiano.“Azzardate molto”: fu questa l’esortazione che Marchionne volle dare agli studenti della Bocconi nel 2013.

“C’è un momento in cui – dopo avere ascoltato tutti, dopo aver ascoltato tutto, dopo aver condiviso tutto – il leader, un vero leader, deve decidere da solo”. Con questa frase pronunciata in un discorso pubblico, Marchionne intendeva dire che è obbligatorio assumersi il peso e la responsabilità delle decisioni.

   

Un’ultima riflessione. C’è un’altra lezione da cogliere, ce la danno la famiglia Agnelli e John Elkann: Marchionne è esistito perché c’è chi lo ha scoperto, gli ha dato fiducia e lo ha messo nelle condizioni di esprimere le sue potenzialità attribuendogli uno specifico potere gestionale ed un mandato chiaro (con relativi onori e oneri), condividendone gli obiettivi. Questo è un grande merito ed un prezioso insegnamento per tutti.

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