Sergio Marchionne (foto LaPresse)

La morte di Marchionne, una lezione sul silenzio

Giovanni Maddalena

Della vicenda dell'ex amministratore delegato di Fca, da un punto di vista comunicativo, colpisce soprattutto il silenzio, che peraltro stride con il clamore e l’overdose comunicativa dei media

Della vicenda Marchionne, da un punto di vista comunicativo, colpisce soprattutto il silenzio, che peraltro stride con il clamore e l’overdose comunicativa dei media. Il silenzio, salvo l’improvviso annuncio del cambio di vertici, è stata la cifra scelta dalla Fca; il silenzio è stato la modalità di rapporto scelto per un intero anno da Marchionne stesso e dal suo clan nei confronti dell’azienda medesima, almeno a quanto azienda e famiglia dicono a posteriori; il silenzio è stato deciso dalla famiglia su esequie o funerale.

Sul silenzio e sulle sue virtù o difetti comunicativi si è scritto molto, ma in questa vicenda ci sono tre piccole note sulle relazioni silenziose che vale la pena considerare.

 

Innanzi tutto, silenzio e potere. Mentre tutti berciamo sui social, ci scambiamo in continuazione messaggi di ogni sorta e forma, telefoniamo nei luoghi e nei momenti più impensabili rendendo spesso edotti dei perfetti sconosciuti sui fatti nostri più intimi, la grande azienda multinazionale riesce a tenere totalmente occulta la malattia mortale del suo amministratore delegato fino all’istante improvviso della sua sostituzione. Lo stile è in effetti quello dell’Unione Sovietica, dove si poteva passare dal raffreddore alla bara nel giro di poche ore. Solo che all’epoca non c’erano i social e si trattava di una feroce dittatura ideologica. Fca riesce a compiere le medesime mosse nel pieno di una società democratica e della rivoluzione tecnologica comunicativa. Un po’ come con la storia dei figli dei dirigenti di Silicon Valley che vanno alle scuole steineriane dove è vietato l’uso del cellulare, viene in mente che il potere effettivo è consapevole dei pericoli della comunicazione globale molto di più di quanto non lo siano i normali cittadini e, più in generale, che sulla comunicazione oggi si misura il grande divario che permane tra la gente comune e il potere effettivo. La democrazia totalmente trasparente è molto lontana, se non impossibile. Nonostante la retorica dell’apertura e dell’uguaglianza sbandierate da grandi parti della classe dirigente mondiale, esistono anche in piena epoca tecnologica – e forse sempre esisteranno – molte stanze, più o meno segrete, ovattate di silenzio e dove il silenzio è ancora una delle principali tecniche di potere.

 

La seconda nota è su silenzio e valori. In positivo, si capiscono le ragioni dei silenzi: Fca doveva proteggere i titoli azionari sul mercato; il clan Marchionne (e lui stesso) doveva proteggere ruolo, potere e progetti; la famiglia Marchionne vuole proteggere il proprio amore e il proprio dolore. Con il silenzio ciascuno protegge quanto ha di più caro, i propri valori fondanti, il tesoro più prezioso dove l’animo si accentra. Tanto è vero che l’essere umano è comunicativo per natura, quanto è chiaro che la comunicazione non esclude reticenza e riserbo, che a loro volta diventano comunicativi di quanto si ama. Spesso il nome dell’amata o dell’amato è l’ultima cosa che uno dice, sebbene di quell’amore parli ogni gesto. In fondo, la vicenda Marchionne da questo punto di vista conferma l’antico detto del Vangelo sul non dare le perle ai porci. La perla del valore più caro è l’origine di ogni comunicazione, ma ciascuno in fondo sente che il farne oggetto continuo di comunicazione verbale la svuota. I difetti di usura degli eccessi comunicativi, soprattutto verbali, dovrebbero essere ormai evidenti, ma un’educazione a essi farebbe bene a molti nell’agone pubblico e politico.

 

Infine, la terza nota riguarda il silenzio vero, quello del cuore. La morte improvvisa, ne hanno scritto tanti, introduce sempre un pensiero segreto e profondo sul senso della vita, su quelle domande ultime che sono la stoffa del dramma dell’esistenza umana. La morte di un uomo potente ed emblematico come Marchionne, però, oltre a questo inevitabile silenzio pieno di domanda, lascia anche un diverso silenzio del cuore. È il silenzio dell’essere privati improvvisamente di un punto di riferimento, non importa se positivo o negativo. I commiati, gli elogi sperticati, le elegie, i discorsi, gli interventi, i servizi giornalistici spropositati – così come gli insulti altrettanto enfatici e fuori luogo – dicono di un’esigenza profonda che senza ammetterlo tutti hanno nel silenzio del cuore: il bisogno che ci siano esseri umani che incarnino degli ideali, per seguirli o per lottarci contro. Contrariamente a quanto diceva Bertolt Brecht, abbiamo bisogno di santi e di eroi. Dopo tutta la storia amara del Novecento e del culto degli uomini forti, dopo milioni di studi sul divismo e sui suoi nessi ambigui con il capitalismo, sappiamo che è un’esigenza pericolosa, ma nel silenzio del cuore, nel silenzio dell’attimo di sgomento per la notizia improvvisa sulla morte di un uomo che dovrebbe essere uguale a quella di tutti gli altri che ogni giorno dolorosamente trapassano, noi sentiamo che quell’esigenza continua a esserci e a tormentarci.

Di più su questi argomenti: