Sergio Marchionne (foto LaPresse)

Marchionne a parole sue

Sergio Marchionne

Frasi e profezie dell’uomo che ha salvato la Fiat cercando di cambiare l’Italia

Io non sono nato in una casta privilegiata, mi ricordo da dove vengo, so perfettamente che mio padre era un maresciallo dei carabinieri.

Intervista a Repubblica, settembre 2012

 

Dopo la prima laurea in Filosofia mio padre aveva già scelto il colore del taxi che voleva farmi guidare perché diceva che non sarebbe servita a nulla.

Cassino, 5 ottobre 2007

 

 

 

La Fiat, la crisi e la politica italiana

Pessimista sulla capacità dell’Italia di fronteggiare la crisi? Non sono pessimista, sennò non avrei mai accettato di fare l’amministratore delegato di Fiat nel 2004.

L’Aquila, 27 settembre 2011

 

Non nascondiamoci dietro il paravento della crisi. La crisi ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie, anche più drammatica la debolezza della struttura industriale italiana. La cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente– e senza colpa– le conseguenze. Quello che noi abbiamo cercato di fare, e stiamo facendo, con il progetto ‘Fabbrica Italia’ è invertire questa tendenza.

Lettera ai dipendenti Fiat, 10 luglio 2010

 

Il mercato non aspetta i tempi lunghi ed estenuanti di una trattativa per richiedere un sabato di straordinario o un maggiore utilizzo degli impianti. La cultura dell’immobilismo fine a se stessa non risolve assolutamente niente. Se continuiamo a camminare piano e con i paraocchi in un mondo che va veloce, nella migliore delle ipotesi arriveremo tardi. E ci giochiamo un bel pezzo del nostro futuro. Fiat si è impegnata a non chiudere nessuno stabilimento in Italia e questa è una promessa che rimane. Ma il timore è che, senza passi avanti, anche piccoli, sul fronte della flessibilità, sarà difficile approfittare nel nostro paese dello sviluppo che abbiamo in mente.

Torino, 16 febbraio 2008

 

 

La Fiat è un’azienda e ha le responsabilità di un’azienda. Non ha le responsabilità di un governo. Siamo il maggiore investitore in Italia, ma non abbiamo la responsabilità di governare il paese.

Detroit, 14 gennaio 2010

 

Non mi parli di politica io faccio il metalmeccanico e cerco di finanziare il lavoro che facciamo.

Venezia, 27 giugno 2009

 

Faccio il manager e non mi interesso di politica, ma se la Fiat fosse stata gestita come vedo andare avanti il dibattito pubblico sarebbe fallita da tempo. L’Italia è un paese con una delle più grandi ma inespresse potenzialità che io conosca, è un paese che non si vuole bene. Sulle prime quattro o cinque pagine dei giornali si legge solo di litigi e di discussioni che non hanno impatto sull’Italia e sul futuro dei giovani. Se non smettiamo di portare avanti questi dibattiti, non faremo molta strada. Alla Fiat le nostre decisioni richiedono la velocità della luce, questa velocità non si riscontra in campo politico. Speriamo cambino metodo.

Alba, 1 dicembre 2007

   

 

 

L’intervento dello stato è il riconoscimento dell’incapacità dei manager e dei dirigenti di risolvere industrialmente i problemi. Che, invece, è quello che si deve fare in un’impresa.

Intervista a Repubblica, 21 settembre 2006

 

L’industria ha l’obbligo di creare tutte le condizioni per competere, per vincere le nuove sfide del mercato, ma deve farlo con l’aiuto e l’assistenza dei sindacati, che invece di ripetere sempre le stesse cantilene, di dire questo non si può fare, e questo non si può chiudere, devono lavorare per il sistema.

Parma, 9 aprile 2010

 

La Fiat è da rifare, dobbiamo ricrearla competitiva. Non voglio emettere giudizi sui miei predecessori perché sono cose che a me non importano. Io accetto le cose come sono adesso. Dobbiamo ricreare una Fiat competitiva e le capacità ci sono. Che abbia perso per qualsiasi ragione l’abilità di competere sono problemi storici. Io guardo al futuro.

Ginevra, 2 giugno 2004

 

Oggi viviamo nell’epoca dei diritti: il diritto al posto fisso, al salario garantito, al lavoro sotto casa, il diritto di urlare e a sfilare, il diritto a pretendere. Lasciatemi dire che i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati, ma se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo. Perché questa evoluzione della specie crea una generazione molto più debole di quella precedente, senza il coraggio di lottare, ma con la speranza che qualcun altro faccia qualcosa. Una specie di attendismo che è perverso ed è involutivo. Per questo credo che dobbiamo tornare a un sano senso del dovere, alla consapevolezza che per avere bisogna anche dare.

Università Bocconi, 30 marzo 2012

 

I sindacati dei due mondi

Quando la Chrysler ha ricevuto 7 miliardi di finanziamento dal governo americano, ho cercato di spiegare a Landini e alla Camusso, a quei tempi c’era anche Epifani, che andare in giro con fotografie di bandiere rosse – non il rosso della Ferrari – davanti agli stabilimenti della Fiat e usare quello come base per giustificare l’utilizzo degli stabilimenti italiani per esportare macchine prodotte in Italia verso il mercato americano, con un govenro americano che finanziava la Chrysler, è una cosa che non avrei fatto. Ho continuato a ripetere di evitare queste scene, semplicemente dal punto di vista mediatico.

Università Bocconi, 30 marzo 2012

L’appello che vorrei fare a tutti voi, è quello di tenere la politica fuori dalla porta e gli estremismi lontani dalla fabbrica; di lasciare le prove di forza ai deboli. Portiamo invece a questo tavolo idee e proposte, portiamo la voglia costruttiva e l’impegno di fare qualcosa di valore. Portiamo anche la disponibilità a rinunciare a qualcosa, nessuno escluso, in vista di un obiettivo più alto di un titolo su un giornale. Lo dobbiamo in primo luogo ai nostri lavoratori.

Torino, 26 novembre 2010

 

Forse non credevano alla capacità della Fiat di far valere i propri diritti. Forse c'era la presunzione, chiamiamola così, che agli italiani nei momenti decisivi manca sempre l’abilità o il coraggio di farsi valere […] Il presente della Fiat è quello di un grande gruppo impegnato in un duro lavoro di risanamento e rilancio. Sarà questo anche il suo futuro. La lezione che per tutti viene da quest'esperienza è che quando si lavora seriamente, da professionisti, si guadagna rispetto e credibilità e si pongono le premesse per risultati che verranno.

Intervista alla Stampa dopo l’accordo Fiat-GM, 14 febbraio 2005

 

La Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom.

Milano, 3 gennaio 2011

 

 

Uno dei vantaggi di avere a che fare con i sindacati americani era che c’era un interlocutore dall’altra parte. Qui parliamo con tantissime persone e ripetiamo il discorso dappertutto: Melfi, Cassino, Pomigliano. Abbiamo bisogno di un ente con cui parlare, non dodici. Non è la cosa più efficiente. Non si può mettere d’accordo dieci persone per portare una macchina in Italia. E’ una cosa incredibile, mai vista! Ho 58 anni da ieri, ho girato il mondo intero, faccio l’industriale da trent’anni e non ho mai visto un affare simile. Sono nato in questo paese quindi lo apprezzo, voglio bene all’Italia e continuo a volergli bene. Infatti se la Fiat non avesse voluto bene a questo paese non avrebbe mai fatto una mossa simile. Venti miliardi di investimento, raddoppio della produzione in Italia e stiamo discutendo di un discorso teorico sull’affronto alla Costituzione italiana. Ma che scherziamo? Lunedì sera lo stabilimento di Termini Imerese è andato in sciopero e l’unico motivo per cui è andato in sciopero è perché stava giocando la nazionale italiana [contro il Paraguay]. O facciamo il nostro lavoro seriamente o se no la Fiat non è interessata.

Intervista a Class-Cnbc, 2010

 

Non conosco nemmeno un’azienda che è stata disposta, capace, che ha avuto il coraggio di portare la produzione da un paese dell’est di nuovo in Italia. Stiamo facendo delle discussioni, sui giornali, televisioni ecc. basati su principi di ideologia che ormai non hanno più corrispondente nella realtà. Parliamo di storie vecchie, di trenta, quaranta, cinquanta anni fa. Parliamo di padrone vs lavoratore. Cose che non esistono più. Il mondo è cambiato: o decidiamo di competere a livello internazionale o se no l’Italia non avrà un futuro, a livello di manifacturing, di industria. Se la vogliamo ammazzare me lo dite, lo facciamo.

Intervista a Class-Cnbc, 2010

 

La trattativa in America non è più o meno facile rispetto all’Italia, è completamente diversa. Lì non è un discorso ideologico, qui lo è. Sfortunatamente qui siamo andati a intrecciare il lavoro con la politica. Se vogliamo usare le piattaforme industriali per altri discorsi credo che abbiamo sbagliato giudizio.

L’Aquila, 27 settembre 2011

 

E’ impossibile che negli Usa dicano che gli ho salvato la pelle e qui la pelle vogliano farmela.

Intervista a Repubblica, 18 gennaio 2011

 

Il ruolo del sindacato è utile ma per il dialogo con le aziende ci sono strumenti antiquati. Con questi strumenti la dialettica azienda-sindacato non risolve niente. Parlo di un’azienda che deve creare le condizioni per la competitività mentre qui si parla di mantenere accordi firmati nel 1993, quando la situazione dei mercati era completamente diversa da oggi.

Trento 1 giugno 2008

Non c’è alcuna ostilità verso Confindustria, nonostante alcune battute fatte di recente. Dobbiamo salvaguardare l'industria Fiat e assicurare che il piano industriale, incluse le norme contrattate con la maggioranza dei lavoratori, venga rispettato. Non posso difendere ogni volta le scelte fatte con il consenso della maggioranza dei lavoratori. Non posso accettare che l’appartenenza a Confindustria indebolisca la Fiat. Capisco le ragioni storiche ma la Fiat viene prima di tutto.

Venezia, 4 giugno 2011

 

Il posto di lavoro si difende aggiornando il metodo lavorativo, non può rimanere come vent’anni fa. Il mondo è cambiato, ci vogliamo adeguare o no? Non sto dando un giudizio morale su quanto è successo qui in America. Ma rimanere in Italia e pensare che non importi è una cavolata, non è vero. Importa sì. Se la macchina che produco in Italia la devo esportare qua devo essere competitivo con loro, non con quello che viene da Perugia.

Detroit, 11 gennaio 2011

 

Le profezie sull’automobile

Il termine di questo ciclo di crisi, diciamo tra un paio d’anni, resteranno solo cinque o sei protagonisti indipendenti: un costruttore americano, uno tedesco, uno europeo-giapponese con importante presenza in America, uno giapponese, uno cinese e un altro potenziale europeo”

Intervista Automotive News Europe, settembre 2008

 

Prima di pensare che i veicoli elettrici siano la soluzione, dobbiamo considerare tutto il ciclo di vita di queste vetture, infatti le emissioni di un’auto elettrica, quando l’energia è prodotta da combustibili fossili, sono equivalenti a quelli di un altro tipo di auto.

Università di Trento, 2 ottobre 2017

 

 

 

Leadership e consigli ai giovani

Il mio non è un atteggiamento, uso il maglione perché sto a mio agio e non uso il pettine. Quando vedo quei poveri disgraziati con la cravatta, mi chiedo come facciano a sopportarla. Quell' affare appeso al collo per 18 ore non è per niente simpatico [...]. Vedere le miei foto sui giornali quasi tutti i giorni mi dà un grandissimo fastidio. Uno dei problemi del mio impegno con la Fiat è che ho perso completamente la mia privacy, che per me è sempre stata importante. Anche andare a comprare due cd diventa un fatto pubblico, non mi piace è un prezzo che mi dà fastidio.

Torino, 14 marzo 2008

 

Non mi piace molto parlare e sento molto parlare. Mi da un po’ fastidio. Un leader deve parlare poco e fare molto.

Santa Margherita Ligure, 2 giugno 2007

 

Il mio lavoro è quello di affinare talenti giovani, e di cercare nei dirigenti la capacità di guidare il cambiamento. Quando si esce dalle università si esce con la certezza di sapere un mestiere, e si è portati, quando si entra nel mondo del lavoro, di avere la 'materia' da gestire. Ma la realtà è che il mondo che gli chiediamo di gestire è completamente diverso da quel che hanno imparato.

Trento, 1 giugno 2008

 

Sono nato in Abruzzo a Chieti ma per ragioni famigliari e per motivi di lavoro ho vissuto all’estero la maggior parte dei miei anni. Ho dovuto abituarmi presto a cambiare casa, abitudini e amici. Avevo quattordici anni quando la mia famiglia si è trasferita in Canada, e vi confesso apertamente che non è stato facile. Non è mai facile cominciare tutto daccapo in una terra sconosciuta, con una lingua straniera, imparare a gestire la solitudine di alcuni momenti. Non è facile lasciare le certezze del tuo mondo abituale per le incertezze di un mondo nuovo. Aveva ragione Cesare Pavese quando disse che viaggiare è una brutalità: obbliga ad avere fiducia negli stranieri e a perdere di vista il comfort famigliare della casa e degli amici, ci si sente costantemente fuori equilibrio. Nulla è nostro tranne le cose essenziali – l’aria, il sonno, i sogni, il mare, il cielo. Tutte le cose tendono verso l’eterno o ciò che possiamo immaginare di esso. Ma è proprio per questo che viaggiare è il modo migliore per crescere e per farlo in fretta. Il contatto con un mondo sconosciuto è qualcosa che ti cambia nel profondo perché ti costringe a contare solo sulle tue forze e a superare i tuoi limiti.

Meeting di Rimini, 26 agosto 2010

 

Fino a quando non ci lasciamo alle spalle vecchi schemi non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti.

Meeting di Rimini, 26 agosto 2010

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