L'economista, Paolo Savona, ospite della trasmissione televisiva di Lucia Annunziata 'in 1/2 ora (foto LaPresse)

I rischi del paradigma Savona. Storia di un europeista eurodeluso

Stefano Cingolani

Perché l’idea di rinnegare Maastricht del ministro dell’Economia desiderato da Lega e M5s preoccupa Bankitalia e Draghi

I mercati sono rimasti a lungo con il fiato sospeso e ora sono in agitazione. E’ vero, in Italia adesso c’è un presidente del Consiglio incaricato, ma non un governo; anzi, si è aperto all’improvviso un conflitto istituzionale sulla figura e sul nome del ministro dell’Economia. Eppure Paolo Savona, sostenuto soprattutto da Matteo Salvini, competenza ne ha da vendere. Sulla sua determinazione non si discute. Quanto alla schiena, è diritta come un fuso. Se è vero che le scuole economiche sono solo di due tipi, quelle di chi conosce l’economia e di chi non la conosce – come diceva Maffeo Pantaleoni, uno dei maggiori esponenti della formidabile nidiata italiana a cavallo tra Otto e Novecento –, nessuno dubita che il pupillo di Guido Carli e il consigliere economico ombra di Francesco Cossiga, appartenga alla prima. Allora, di che cosa ha paura il presidente della Repubblica?

  

Senza dubbio pesano le durissime critiche ai parametri di Maastricht (il limite del 3 per cento nel rapporto tra disavanzo di bilancio e prodotto interno lordo e il tetto del 60 per cento per il debito pubblico) considerati da Savona “senza alcun fondamento logico ed empiricamente rozzi”. Nel giudizio di Sergio Mattarella contano molto le critiche serrate quanto distruttive nei confronti dell’euro così come è stato costruito e gestito. E poi c’è il “piano B”, cioè la necessità di preparare tutto l’armamentario economico-politico necessario per gestire un’uscita repentina dalla moneta unica. Ma in tutti questi casi siamo di fronte alle analisi di un professore, alle considerazioni spesso amare di un economista che ha visto i processi dall’interno, e non da una eburnea torre accademica. Quel che allarma davvero il Quirinale, secondo fonti ben informate, è il pericolo che Savona entri subito in contrasto con la Banca d’Italia e con la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. Oggi, prima di sottoporre una proposta di governo a Mattarella, il premier incaricato Giuseppe Conte incontrerà il governatore.

   

Savona imputa a Ignazio Visco, in modo particolare, di non essersi opposto alle regole sul bail-in bancario e soprattutto, “cosa assai grave”, di aver “omesso di informare il Parlamento dell’errore che stava compiendo”. Quanto a Draghi, la sua politica monetaria attiva ed espansiva (che in teoria Savona condivide) non si è trasmessa all’economia reale e nemmeno lui è sfuggito alla dittatura tedesca che ci ha fatto “scivolare in una condizione coloniale”. L’arco dei conflitti potenziali che le posizioni di Savona apre, una volta seduto sulla poltrona di Quintino Sella, appare dunque molto vasto. Il professore ha tanta voglia di affermare le idee che ha maturato in questi anni, che ha scritto nei suoi numerosi saggi e pamphlet. Sarebbe un riscatto, una rivincita per molti versi, su quei membri come lui dell’establishment economico e politico, che a un certo punto lo hanno tenuto ai margini.

  

Ma chi è davvero Savona e che cosa pensa? Molto si è scritto sull’ultimo suo libro intitolato “Come un incubo e come un sogno”, appena pubblicato da Rubbettino, nel quale espone in modo spesso tranchant, le sue posizioni contro “la gabbia tedesca” rappresentata dall’euro. Un’altra pubblicazione uscita in questi giorni con Milano Finanza e firmata insieme a Paolo Panerai, ricorda Carli, l’ex governatore della Banca d’Italia e ministro del Tesoro, al quale “tremò la mano” mentre firmava il trattato di Maastricht il 7 febbraio di quel fatidico 1992 in cui crollarono la lira e la Prima Repubblica. E’ un momento chiave anche per i giallo-verdi i quali vogliono “tornare a prima di Maastricht”. Tuttavia, attenzione, nei libri si scrivono tante cose; anche se sono saggi, pamphlet o trattati economici, e non romanzi, rispecchiano sempre l’animo dell’autore; “madame Bovary c’est moi”, diceva Gustave Flaubert e ciò vale anche per una equazione di economia matematica. Savona è stato e resta un uomo delle istituzioni, alla Banca d’Italia dove entrò nel 1961, alla Confindustria come direttore generale durante la presidenza Carli, nelle banche, al Fondo interbancario di tutela dei depositi che ha presieduto e riformato. Sa negoziare e ne ha l’autorevolezza, come si è visto con il trattato europeo di Lisbona. Per valutarlo, quindi, come ministro dell’Economia in pectore, vediamo non solo quel che ha scritto, ma quel che ha fatto e quel che vuol fare, prendendo sul serio le intenzioni espresse in modo molto chiaro in varie occasioni, in un ristretto club (come gli amici della Fondazione Ugo La Malfa) o in convegni pubblici.

  

Il punto di partenza è il debito pubblico. Bisogna ridurlo, Savona sa bene che il primo limite alla sovranità nazionale è proprio questo, ma non crede che per farlo basti forzare la crescita o nazionalizzarlo totalmente come in Giappone. In questo, dunque, non è d’accordo con il contratto di governo. Da anni, così, propone un intervento straordinario che faccia perno sulle enormi proprietà, per lo più immobiliari, in mano allo stato. Potrebbero essere scorporate, poste in un fondo ad hoc, collocate sul mercato. Sono centinaia di miliardi (l’entità dipende dai criteri di calcolo, dai valori di mercato, da cosa si mette dentro). L’idea ha trovato sempre ostile la Banca d’Italia la quale lo ritiene irrealizzabile e persino dannoso perché allontana il risanamento per la via maestra, cioè il pareggio del bilancio al netto degli interventi anti-crisi, ma trova consensi nel mondo finanziario, per esempio in Carlo Messina, amministratore delegato di banca Intesa Sanpaolo.

  

Un’operazione del genere apre spazi anche ad allentare il corsetto del bilancio pubblico, per sostenere consumi e investimenti. A quel punto potrebbe essere più facile rifiutare il diktat del tre per cento. Savona pensa che si possa sfondare il tetto, sfidando la prevedibile rappresaglia. L’Italia, in tal caso, dovrebbe andare a Bruxelles e dire chiaro e tondo che se la Ue impone sanzioni, Roma è pronta a lasciare l’Unione monetaria e, chissà, persino quella europea. Il professore è convinto che l’Ue non possa permetterselo – non ha potuto farlo nemmeno con la Grecia, figuriamoci con la terza economia della zona euro – e sarà costretta a trattare. Se così non fosse, allora ecco la possibile via d’uscita. “Sono stupito che la Banca d’Italia e i ministri del Tesoro non abbiano già studiato un piano B2”, ha detto più volte. Di che si tratta? Del ritorno alla moneta nazionale che andrebbe fatto con un decreto, senza annunciarlo prima, nella notte tra una domenica e un lunedì quando i mercati sono chiusi. Sarebbe uno choc, Savona lo sa e non sottovaluta i costi e gli sconquassi, ma ritiene che potrebbero essere passeggeri: dopo un anno al massimo, tutto s’aggiusterebbe attorno a un migliore equilibrio soprattutto grazie alle esportazioni. E i risparmiatori, falcidiati nella prima fase, riempirebbero di nuovo i portafogli.

  

E l’inflazione? Ce ne sarà e ciò farà scendere il valore nominale del debito, un bene per il Tesoro, un costo per chi detiene Btp a tasso fisso, ma può essere controllata con un ferreo patto con i sindacati che impedisca la rincorsa salariale. Avvenne con il breve governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi (aprile 1993-aprile 1994) nel quale Savona era ministro dell’Industria. Stiamo parlando di tattica, sia chiaro, ma la situazione può facilmente sfuggire di mano. Sia la Lega sia il Movimento 5 stelle agitano il referendum sull’euro come una spada di Damocle. Ed è molto probabile che, se il negoziato si fa duro, l’idea diventi realtà. E’ successo con David Cameron e il Regno Unito s’è impantanato in una Brexit senza fine. Il leader britannico s’è dimesso di fronte alla sconfitta, e anche Savona è uomo che tiene fede alla propria parola. Sue dimissioni rapide quanto improvvise ci furono durante il governo Ciampi. Era in discussione la privatizzazione di due grandi banche dell’Iri: la Commerciale e il Credito italiano. Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, voleva un azionariato diffuso, da public company; Savona era per un nucleo di azionisti forti (il nocciolo duro alla francese). Prevalse Prodi, Savona lasciò il ministero, salvo poi tornare sui suoi passi convinto da Ciampi.

    

La polemica sul titolare dell’Economia è in parte falsata dalla ossessione europea. Quel che serve, in realtà, non è tanto un efficace negoziatore con Bruxelles, quanto un guardiano severo dei conti che sappia tenere sotto controllo il bilancio dello stato; non perché lo chiede l’Europa, ma perché ne hanno bisogno gli italiani, i risparmiatori, i consumatori, i salariati. Gli ultimi anni di Carli servono da monito. L’ex governatore diventato ministro, fu bravissimo a Maastricht: tremore o non tremore, difese quella scelta che nasceva da una sua antica convinzione, cioè che l’Italia avesse bisogno di un “vincolo esterno” per mettersi in riga. Ma si fece sfuggire di mano il bilancio pubblico. Tra il 1989 e il 1992 il debito s’innalzò in modo repentino superando il cento per cento del prodotto lordo e avviandosi a doppiare il livello di dieci anni prima. La lira s’indebolì e venne attaccata dalla speculazione già nell’inverno per poi crollare del tutto a settembre.

   

Carli aveva assistito impotente allo spadroneggiare delle “arciconfraternite del potere” denunciate come governatore della Banca d’Italia. Il rischio oggi è che i vincitori delle elezioni impongano nella legge di Bilancio per il 2019 un’espansione della spesa pubblica, in vista del voto per il Parlamento europeo, tra un anno, primo test del governo giallo-verde. Savona denuncia l’austerità teutonica, però segue una linea rigorosa in materia di conti pubblici. Ha tuonato contro il Fiscal compact che impone un sentiero rigido di riduzione del debito attraverso il pareggio del bilancio, tuttavia non rimette in discussione l’articolo 81 della Costituzione il quale recita: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. C’è da scommettere, insomma, che non potrebbe assistere a uno scempio sovversivo. Non è nel suo carattere di moderato, di sardo legato alla propria isola, ma aperto al mondo, parte di una élite che ha fatto molto per evitare che l’Italia fosse trattata come l’eterna Cenerentola d’Europa.

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