Mario Draghi e altri membri della Bce poco dopo un consiglio direttivo. Foto LaPresse

Perché l'idea che le Banche centrali siano innocue è sopravvalutata

Alberto Brambilla

I politici sembrano credere che l’assalto all’autorità monetaria e all’integrità dell’Eurozona non abbia conseguenze, ma sottovalutano gli strumenti di coercizione e moral suasion verso gli stati

Roma. La Banca centrale europea è diventata un bersaglio facile dei politici europei dei paesi periferici e di quelli centrali per ragioni diverse. L’Italia è l’epicentro dell’ultima sfida dai toni definitivi lanciata all’Eurotower con la Lega e il Movimento 5 stelle che considerano l’uscita dall’euro un’arma di ricatto da utilizzare nei vertici europei per ottenere maggiore spazio fiscale superando i vincoli di bilancio comunitari. L’idea di uscire dal blocco è stata ritrattata. Ma la possibilità che un economista come Paolo Savona, che vuole ridiscutere i parametri del trattato di Maastricht, possa diventare ministro dell’Economia, preoccupa la Bce di Mario Draghi e la Banca d'Italia, il braccio operativo dei programmi di acquisto titoli del Quantitative easing e della Vigilanza bancaria.

    

I politici, non solo in Italia e non da oggi, sembrano aderire alla visione che l’assalto all’autorità monetaria e all’integrità dell’Eurozona non abbia conseguenze. In realtà le Banche centrali hanno a disposizione strumenti di coercizione e di moral suasion verso gli stati. Le “parole” sono la prima linea di difesa. “Un contesto di crescita in via di peggioramento o un ammorbidimento della politica fiscale in paesi altamente indebitati potrebbe avere un impatto sulle prospettive fiscali e, in generale, sulla valutazione dei mercati nei confronti di alcuni emittenti sovrani della zona euro”, ha scritto giovedì la Bce in una nota che accompagna la Financial Stability Review mentre in Italia l’ipotesi Savona veniva sostenuta dalla Lega. Ribadisce il concetto base secondo cui l’Istituto garantisce liquidità al sistema ma è compito dei governi occuparsi della solvibilità degli stati. Quando la minaccia si alza, al punto da contemplare l’uscita dal blocco con il governo Tsipras-Varoufakis, la Grecia ha sperimentato un periodo di pena con la liquidità bancaria contingentata dal programma Emergency liquidity assistance (Ela) e limitazioni ai prelievi agli sportelli per i correntisti.

     

Donato Masciandaro, professore di Politica monetaria all’Università Bocconi, dice al Foglio che “nel caso greco nel momento in cui l’emittete è parso non essere solvibile ha cessato di usare i suoi titoli come garanzia per operazioni di mercato aperto e questa decisione ha reso ancora più grave la situazione. E’ poi stato un errore fare parte della cosiddetta Troika per la Bce, perché ha contribuito a prescrivere ricette di politica economica e fiscale, ambito separato dalla politica monetaria che le compete”. Le Banche centrali, apice della catena alimentare del sistema finanziario, hanno un alleato nei mercati. “Lo vediamo in Turchia in questi giorni – dice Masciandaro – il presidente Erdogan ha sfidato l’indipendenza della Banca mostrando di non gradire la politica monetaria restrittiva perché vuole aumentare il suo consenso per le elezioni di giugno. I mercati hanno iniziato a votargli contro e la lira turca è caduta di quasi il 20 per cento ed Erdogan non ha potuto osteggiare un rialzo dei tassi da parte dell’istituto”. L’alleanza banche-mercati traspare dalle parole di Vítor Constacio. Una settimana fa, il vicepresidente della Bce in uscita, intervistato da Bloomberg, non rispondeva alle domande sull’Italia, mercoledì ha usato i mercati per spiegare che non c’è nulla da ridere. “Il picco dei rendimenti dei titoli italiani a 10 anni (arrivati ai massimi dal 2014 al 2,4 per cento, ndr) rappresenta certamente uno sviluppo significativo e una causa di potenziale preoccupazione”.

  

Ma se la politica insidia, come accade da secoli, l’autorità monetaria per avere vantaggi o esercitare pressioni, può esserci una tregua? “Se uno dei problemi della Bce è l’equilibrio tra la politica monetarie e l’ingerenza sugli stati, un modo per ridurre questo legame è avere una Bce attiva negli acquisti di titoli diversi da quelli emessi dagli stati: operazioni di mercato aperto su titoli tripla A non emessi da stati membri”, dice Masciandaro. “E’ un approccio innovativo che non piacerà a nessuno ma che è consequenziale con quello che constatiamo: in questo modo l’Istituto non può essere accusato di accondiscendenza verso certi paesi che hanno politiche fiscali lasche. Non farebbe piacere ai governi la fine della stampella che in parte concede spazio fiscale via deficit ma stiamo parlando della difesa dell’indipendenza. Rompere il circolo Bce-stati è un’opzione dopo l’esaurimento del Qe”. Più che un sovrano, un fondo d’investimento.

 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.