La linea di Borghi sull'euro

Valerio Valentini

“Non vogliamo uscire dalla moneta unica. E Savona dovrà adeguarsi. Noi siamo coerenti”. Parla l’uomo dei conti di Salvini

Roma. A irritarlo, più che la domanda in sé, è il dover rendersi conto che la questione, per lui chiara e pacifica, tale non appare a chi lo interroga. “Ma davvero c’è bisogno ancora di specificarlo, che questo governo non ha intenzione di uscire dall’euro?”. Davvero, sì. Ed è allora che Claudio Borghi sospira, un poco sbuffa, e poi borbotta: “Il contratto di governo è inequivocabile”. Il contratto di governo, in verità, sul punto è assai fumoso, quando recita che “nell’attuale contesto (...) risulta necessaria una ridiscussione dei trattati dell’Ue e del quadro normativo principale”. 

 

“E dunque?”, chiede il responsabile economico di Matteo Salvini. E dunque ci sarebbe almeno da indicare fino a che punto l’esecutivo grillo-leghista sia pronto a spingersi, nel “ridiscutere” vincoli e norme con Bruxelles. “Di certo, non fino all’abbandono della moneta unica”, dice Borghi, e lo dice quasi controvoglia, lui che del resto la sua posizione l’ha ribadita più volte, nel recente passato. “Se è la mia opinione personale, che cercate, resto convinto – conferma – che l’uscita dall’euro sarebbe la soluzione ideale, e del resto era contenuta nel programma della Lega. Poi, però, la politica è fatta di mediazioni: e quando ci siamo seduti al tavolo con i nostri alleati del centrodestra, ci siamo accorti che Forza Italia non era affatto d’accordo. Ed è per questo che nei dieci punti della coalizione non compare”.

 

E no, Borghi non ci sta a sentirsi ripetere l’indiscrezione che da tempo circola. “Si dice, ora, che vogliamo farlo senza prima dirlo. Ma non è vero: non essendoci un accordo condiviso con gli alleati, non ci muoviamo”. Quanto all’altro tavolo di contrattazione, quello a cui il deputato leghista ha lavorato insieme alle delegazioni del Carroccio e del M5s, e in particolare a stretto contatto con Armando Siri e Laura Castelli, neppure qui c’è stata possibilità di recuperare quella proposta estrema. “Nel programma del M5s non c’è l’uscita dall’euro, pertanto il contratto non può in alcun modo contemplarla”. E però, in vario modo e in una serie di incessanti contorcimenti retorici, di tanto in tanto nei discorsi di esponenti grillini riaffiora il tema del referendum.

 

“Neanche questo è nel contratto – replica Borghi, categorico – e quindi neanche questo si potrà fare”. Se poi gli si parla delle versioni precedenti del contratto, Borghi alza subito la voce: “Ma quelle erano bozze, nulla più. E comunque vi si diceva semplicemente d’introdurre ‘specifiche procedure’ per consentire ai singoli stati di ‘recuperare la propria sovranità monetaria’, o di adottare ‘una clausola di opt-out permanente’. Insomma: non si alludeva ad alcuna uscita a breve termine dell’Italia dall’euro. Non è questo che andremo a trattare a Bruxelles”.

 

E però, a ben vedere, il primo a non essere d’accordo con questa linea parrebbe essere proprio il ministro dell’Economia in pectore. Per Paolo Savona, l’ipotesi dell’uscita dall’euro non può essere esclusa a priori, se non altro perché è quella l’arma di ricatto con cui aumentare la forza contrattuale dell’Italia e ottenere delle concessioni in Europa. “Quel che ha in testa Savona – dice Borghi – non posso saperlo. So invece per certo che, in ogni caso, il ministro dovrà adeguarsi a quello che c’è scritto nel contratto, o comunque alla volontà dei partiti di maggioranza che sostengono il governo. Il contratto c’è: tutto parte da lì, e non si può certo riscriverlo”. E dunque si pretende, da una persona peraltro non propriamente malleabile come Savona, che si attenga in modo pedissequo a un contratto stipulato da altri e in molti aspetti assai vago? “Non si pretende nulla. Si ricorda solo che l’autonomia di un ministro non è illimitata, e che anche Savona del suo operato dovrà sempre e comunque rendere conto alla maggioranza parlamentare”. Se poi il governo dovesse vagheggiare eventuali forzature, “a quel punto ne discuterebbe, come stabilito nel contratto, il comitato di conciliazione”, quell’organo non costituzionale chiamato a risolvere le controversie che dovessero sorgere in Consiglio dei ministri. Borghi, del resto, non ci vede nulla di strano. “E’ una semplice formalizzazione di quel che è sempre esistito, e cioè il vertice di maggioranza. E per di più prevede la presenza del ministro interessato”. Se si tratterà davvero di Savona, è però ancora presto per dirlo.

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