Volodymyr Zelensky (Ansa)

L'emancipazione della Piccola Russia

Paolo Nori

Dal gran principe di Kyiv a Caterina II, dalla Rivoluzione d’Ottobre all’Ucraina post Urss, passando per Gogol’ e Bulgakov. Storia, cultura, lingua di un conflitto aperto. La versione dello slavista Alessandro Cifariello

La scorsa settimana ho partecipato a un convegno organizzato dall’Università della Tuscia che si intitolava “L’attualità della questione russo ucraina in una prospettiva storico-culturale” e ho imparato molte cose che non sapevo. Alessandro Cifariello, che insegna lingua, letteratura russa e traduzione dal russo proprio all’Università della Tuscia ha detto, in quell’occasione, una cosa alla quale non avevo mai pensato: che il nome del partito di Putin, Edinaja Rossija (Russia Unita o Un’unica Russia) potrebbe essere inteso come un programma politico coerente con il recente intervento in Ucraina. Ho approfittato della competenza e della gentilezza del professor Cifariello per fargli alcune delle domande che mi girano in testa in questi giorni così complicati.  

 

Mi hanno chiesto se Bulgakov è uno scrittore russo o ucraino, e una ragazza ucraina mi ha scritto che i russi hanno scippato all’Ucraina Gogol’ come gli hanno scippato il Donbas. Io, alla prima domanda non sapevo cosa rispondere, ho risposto poi che Bulgakov è un grande scrittore, ho fatto male?

La domanda che mi poni è molto interessante e certamente avrebbe necessità di approfondimento. Ma io partirei da Babel’. Perché Babel’? Perché l’Ucraina, così come la Federazione russa, è uno stato multietnico e pluriconfessionale. Gli storici nella prima fase dell’Ucraina indipendente post sovietica, parlavano di due Ucraine, una Ucraina russofona e una Ucraina ucrainofona, poi però a partire dagli anni 2000 hanno ampliato il concetto parlando di un’unione di regioni. L’Ucraina è lo stato più esteso d’Europa dopo la parte europea della Federazione russa. E in essa vivono e si evolvono voci diverse con lingue e culture diverse. E io ritengo che sia proprio la diversità a fare grande uno stato. In questo contesto Babel’ è russo, ucraino o ebreo? Nessuno si pone questa domanda, e una risposta non è certo semplice. Isaac Babel’ è stato uno dei più grandi scrittori della prima metà del Novecento. L’armata a cavallo e i Racconti di Odessa sono dei piccoli grandi capolavori. Ne L’armata a cavallo Babel’ ricostruisce gli avvenimenti che vedono l’armata rossa nel Venti, nel pieno della guerra civile coi bianchi e dello scontro con la Polonia per il dominio su territori di Bielorussia e Ucraina. Babel’ è di Odessa, dunque, secondo i parametri attuali sarebbe uno scrittore ucraino; però scrive in russo, che è la sua lingua madre. Storicamente la sua famiglia – di origine ebraica – parlava lo yiddish, mentre lui, che ormai di yiddish conosce solo qualche parola, parla e scrive in russo.

 

Perché dico ciò? Perché ripensare la storia e la letteratura con i parametri dello spazio post sovietico non ha senso. Allora rispondo alla tua domanda. Parlare di Gogol’ è più semplice che parlare di Bulgakov. Gogol’ è uno scrittore della prima parte dell’Ottocento. Lontano dalle questioni nazionaliste che scuotono gli animi degli ucrainofili nella seconda parte del secolo, egli resta ucrainofilo non nazionalista. Cosa voglio affermare? Che Gogol’ – che è di Poltava, sulla riva destra del Dnepr’, quel territorio che è più intimamente legato allo Moscovia – si riallaccia continuamente alla tradizione ucraina. Le sue prime raccolte sono dense di motivi folklorici ucraini, come anche di parole ucraine. Questa passione è evidente in Sui canti della Piccola Russia, ossia i canti popolari dell’Ucraina che egli percepisce come storia nazionale viva, capace di mettere a nudo la vita del popolo ucraino. Chiaramente usa la terminologia ufficiale, Malorossija, Piccola Russia – in contrapposizione a Velikorossija, Grande Russia, e Belorossija, Bielorussia. S’interessa in modo professionale anche di storia ucraina, di cui vorrebbe essere professore incaricato all’Università di Kyiv – sarà poi incaricato di un corso di storia all’Università di Pietroburgo per poco meno di un anno. Il suo interesse per la storia ucraina è testimoniato inoltre da Uno sguardo al formarsi della Piccola Russia, ma soprattutto dal Taras’ Bul’ba, romanzo storico alla Walter Scott. Per esprimersi Gogol’ sceglie il russo, scrive in russo. E’ vero, ad esempio, che ne La mantella [Il cappotto] è possibile ritrovare alcuni elementi della filosofia di Hryhorij Skovoroda, poeta, filosofo e mistico del Settecento ucraino che scrive in quella lingua, ma per Gogol’ si tratta di influenze filosofiche e non di scelte linguistiche. E credo che il finale del primo volume delle Anime morte, l’immagine della Russia trojka, sia un chiaro riferimento allo spazio imperiale della cultura slavo-orientale. Dunque, visione di unità politica e allo stesso tempo di differenze regionali. Ma siamo nella prima metà dell’Ottocento, e tutto ciò è comprensibile. Nella seconda parte del secolo una serie di avvenimenti importanti segna la storia culturale dell’Ucraina: la comparsa di un movimento ucrainofilo che rivendica la propria lingua e la propria cultura, e tra i suoi esponenti emerge il padre della poesia ucraina moderna, Taras Ševchenko.

 

L’altro giorno all’incontro organizzato presso la mia università sulla questione russo-ucraina in una prospettiva storico-culturale ho citato proprio una frase di Ševchenko tratta da Testamento, del 1845: “Na Vkrajini mylij”, nella cara Ucraina. Ossia il padre della poesia ucraina usa la preposizione “na” di fronte al nome della patria etnica; qualche anno dopo, nel 1863, Michail Katkov, intellettuale nazionalista russo, scrive “V Ukraine” quando parla d’Ucraina. Perché è importante? In russo, così come anche in polacco, si attesta “na Ukraine”. Dopo il ’91, nell’Ucraina sovrana post sovietica, si è passati al “v Ukraine” de facto e de iure, per motivi politici: perché usare la preposizione “na” per dire “in uno stato”? “Na” si usa per le parti ai bordi, al confine, sulla riva del mare – ricordiamo che la radice di Ucraina rimanda all’idea di confine – e ovviamente “na” non è adatto per uno stato sovrano; in Russia, al contrario, si tende a usare “na Ukraine”, come se quest’espressione rappresentasse la purezza della lingua russa. Ma abbiamo visto che non è così. E nei discorsi di Putin e in quelli del patriarca Kirill non compare mai “v Ukraine”, mentre in quelli di Zelensky non ci può mai essere “na Ukraine”. Pertanto nella storia delle lingue e delle culture russa e ucraina c’è stato un ripensamento proprio del significato del termine, in cui entrambe si sono in qualche modo influenzate attraverso la reciproca sostituzione del sintagma. Cosa voglio dire? Possiamo noi oggi giudicare con gli attuali parametri fenomeni culturali avvenuti cento anni fa?
E arriviamo a Bulgakov. Bulgakov è di Kyiv, una città particolare, sostanzialmente russofona, in un mare ucrainofono. Il più importante quotidiano di Kyiv era, dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla guerra civile, il Kievljanin della famiglia Šul’gin – il fondatore, Vitalij Šul’gin, era conosciuto come il Katkov kieviano, e il suo giornale, come il Moskovskie vedomosti di Kyiv (il Moskovskie vedomosti era il quotidiano diretto da Katkov). Insomma, un nazionalista russofilo, importante personaggio della cultura dell’epoca tardo-imperiale. Bulgakov pare non avere, come altri a Kyiv, un buon rapporto con la lingua ucraina. Si prenda La guardia bianca. Qui il vecchio Turbin (rappresentante di una famiglia di Kyiv coinvolta nella guerra civile) chiama la lingua ucraina “gnusnyj jazyk”, lingua abietta. E’ il pensiero di Bulgakov? Non è possibile stabilirlo. E’ una considerazione politica? Sulla guerra civile? Non si sa. E’ certo però che Bulgakov sceglie consciamente, liberamente, l’uso del russo come lingua in cui esprimere la propria arte: è russofono, in quale altra lingua dovrebbe esprimersi? Altri sceglieranno di usare l’ucraino perché ucrainofoni. Sappiamo che con la nascita delle Repubbliche sovietiche sono incentivate, almeno all’inizio, le lingue nazionali, ucraino incluso. Di letteratura ucraina coeva a Bulgakov ne parla il fondamentale volume Civiltà letteraria ucraina della Pachlovska, che – da quanto so – sta per essere ristampato. 

 

Quando comincia l’Ucraina, quando comincia a staccarsi dalla Russia? Qualche filorusso, sui social, mi ha chiesto dov’ero questi ultimi otto anni, che è poi lo slogan governativo dell’inizio della campagna, lo chiedo a te: dov’ero questi ultimi otto anni? Cioè: cos’è successo in Donbas?

L’Ucraina è uno stato enorme, con una storia millenaria, se si conta a partire dalla Rus’ di Kyiv, che però è storia condivisa di tutti gli slavi orientali – la Rus’ di Kyiv è l’origine comune dei tre popoli – e poi si stacca culturalmente dalla Slavia orientale una volta liberatasi dal giogo dell’Orda d’Oro (che dominava le terre della Rus’ a partire dalla prima metà del XIII secolo). L’influenza dell’Europa centrale, e in particolare della cultura polacco-lituana, è fondamentale per la nascita e l’evoluzione di una specifica lingua e cultura ucraina, e nel Cinquecento la lingua, normativizzata, diviene rus’ka kanceljars’ka mova – lingua della cancelleria, dove rus’ka è aggettivo di Rus’. Con una serie di conquiste, unioni volontarie o annessioni coatte, gran parte del territorio viene riunito alla Moscovia e poi all’Impero russo, con la definitiva cancellazione della Polonia-Lituania (di cui era parte un pezzo vasto d’Ucraina) nelle tre grandi spartizioni, del 1772, 1793 e 1795. Ma un’Ucraina-nazione indipendente in tutti questi secoli non è mai esistita, fatta eccezione per il tentativo cosacco limitato (una “piccola” zona rispetto alla vastità della futura Ucraina) della comunità proto-statuale del Sich di Zaporižžja, sul Dnepr’, ben ricordato nel Taras Bul’ba di Gogol’. Il primo reale tentativo di stato ucraino indipendente, secondo gli storici, avviene subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre. A Kyiv, nel 1917, dopo la Rivoluzione di Febbraio, era emersa la Rada, organismo politico composto da intellettuali ucraini moderatamente nazionalisti, di orientamento socialista. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre la Rada proclama la Repubblica popolare ucraina e caccia da Kyiv i bolscevichi.

Questi ultimi ripareranno a Charkiv, bastione del bolscevismo ucraino e capitale della futura Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (Rssu) fino al 1934 – la Rssu ingloberà gran parte della Repubblica popolare. In realtà si tratta del momento finale della guerra civile, che parte proprio dall’invasione bolscevica di Kyiv. La Rssu amplierà il proprio territorio nel corso del Novecento, all’interno dell’Urss – di cui la Rssu è stata uno dei fondatori. La questione del Donbas si trova proprio agli albori della storia della Rssu: i bolscevichi del Donbas, contrari all’intervento militare contro l’Ucraina, avevano formato una repubblica bolscevica a sé stante, quella di Doneck i Krivoj rog, secondo cui il Donbas era appendice meridionale e, dunque, parte integrante della Russia – pertanto regione separata dall’Ucraina. Nella definizione dell’architettura sovietica tuttavia Lenin farà rientrare il Donbas nella Rssu, fatto a cui Putin si appiglia nel discorso di febbraio. E così arriviamo all’oggi. Cos’è successo in questi otto anni? La guerra con varie pause più o meno corte, un conflitto con oltre 15.000 vittime da entrambe le parti, e un milione e mezzo di sfollati tra Russia, Ucraina e altri paesi, come ha ricordato Marco Puleri in un incontro all’Alma Mater qualche settimana fa. Questa è in effetti proprio una domanda da porre agli storici contemporanei o a chi si occupa a livello accademico o professionale di geopolitica. Io mi limito all’aspetto culturale. Certamente in questi anni sono tornati in auge elementi culturali del passato pre sovietico, imperiale. Novorossija, la Nuova Russia, nome utilizzato per tutta la regione che va dal Donbas a Odessa in una serie di documenti reperibili su internet o sulle copertine di alcuni libri, rimanda allo spazio territoriale dell’Impero russo, con capoluogo Odessa – una regione all’epoca multietnica e pluriconfessionale. 

 

Sappiamo che gli zar erano zar di tutte le Russie, cosa vuol dire? Quante e quali sono?

Durante l’Impero russo lo zar era Imperatore di Russia, Imperator Vserossijskij, in sostituzione del precedente Zar’ vseja Rusi, che a sua volta continuava la tradizione del Velikij Knjaz’ vseja Rusi. Ossia: l’intera storia parte dal gran principe di Kyiv, a guida di tutti i principati della Rus’. In quest’ottica si arriva al Vserossijskij: la Vserossijskaja Imperatrica Caterina II, nel cui regno si assiste alle tre grandi annessioni del 1772, 1793 e 1795, ritorna a essere l’Imperatrice di quasi tutti gli slavi orientali, ossia “Grandi Russi”, “Piccoli Russi” [gli ucraini] e “Russi Bianchi” [i bielorussi]. Cioè quegli slavi con un’origine comune – la Rus’ di Kyiv, una religione comune – la religione russa ortodossa sotto il patriarcato di Mosca, una lingua sacra comune – lo slavo ecclesiastico, ma tre tradizioni linguistiche diverse, anche se prossime. Per tenerli insieme nel corso dell’Ottocento si sviluppa una sorta di collante culturale, la cosiddetta triade di Uvarov, dal nome del ministro dell’Istruzione pubblica Sergej Uvarov che nel 1833 espose a Nicola I il principio unificante, che poi lo zar fece proprio, di pravoslavie – ortodossia, samoderžavie – autocrazia, narodnost’ – identità/tradizione nazionale (che io spesso definisco “popolo-nazione”, per rimandare ai termini “populismo” e “nazionalismo”). Era chiaramente l’antitesi al principio espresso dalla Rivoluzione francese e fatto poi proprio dall’Occidente democratico e liberale: la celebre triade Liberté, Égalité, Fraternité, con la Fraternité cosmopolita diametralmente opposta alla “Vserossijskaja” narodnost’, l’identità nazionale “di tutte le Russie”. 


L’associazione degli slavisti ha condannato l’aggressione della Russia, tu sei d’accordo? 

Sono d’accordo, l’ho detto sin dal primo giorno. Tra l’altro non potrebbe essere altrimenti. Io, che faccio parte di quella generazione, l’ultima, che aveva l’obbligo del servizio militare, ho scelto il servizio civile rifiutando l’uso delle armi.
 

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