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La guerra e una via per la pace. Con Bucha negli occhi

Adriano Sofri

La via d’uscita dalla guerra in Ucraina deve avere lucidità e fantasia, e spostare il piano del confronto. Deve soprattutto avere un protagonista, e il protagonista può essere l’Unione europea

(Ho scritto sabato. Domenica ho visto Bucha. Non occorre che dica che fatico a essere d’accordo con me stesso).

L’Ucraina, non perdendo, vince. La Russia, non vincendo, perde. Per questo ha ragione, qualunque sia il suo movente, chi dice che bisogna procurare a Putin una via d’uscita. Ma chi lo dice commette un primo errore gravissimo, dandogli il nome dignitoso di compromesso. L’errore di far coincidere la via d’uscita di Putin con un maggior sacrificio territoriale (o altro) dell’Ucraina. Che oltretutto scavalcherebbe l’Ucraina, la cui resistenza, a un costo terribile, ha creato la condizione della mancata vittoria di Putin. Dunque: il nostro fine, delle democrazie che simpatizzano con la resistenza ucraina, dev’essere di aiutarla a non perdere. Non: a vincere. Non solo perché resta improbabile che possa, ma perché una Russia sconfitta metterebbe a repentaglio gli altri e se stessa. La via d’uscita deve stare altrove, e non deve nemmeno deviare verso la furbizia, l’espediente che “salvi la faccia” a Putin.

Tanto più che è ai russi, tutti, e a quella plausibile gran maggioranza che, anche a dubitare com’è ovvio dei sondaggi, pensa oggi che la Russia sia isolata e offesa, e sta con Putin. Ci sono bombe atomiche minacciate e allertate, ci sono bombe atomiche opposte lucidate alla bisogna. La via d’uscita deve avere lucidità e fantasia, e spostare il piano del confronto. Deve avere un protagonista, e il protagonista può essere l’Unione europea. Non può essere la Nato, cioè gli Stati Uniti (con l’appendice britannica) che detengono e guidano la forza militare, ma sono fisicamente distanti dal teatro di guerra e troppo tentati dal desiderio che la Russia sia sconfitta interamente sul campo. Altri eventuali protagonisti, e in particolare la Cina (per non dire di regimi pregiudicati come la Turchia di Erdogan) rendono conto ai propri peculiari interessi strategici. La Cina è alleata della peggior Russia, è gelosa delle proprie vergogne interne – il Tibet, lo Xinjiang, la Hong Kong decapitata – e del proprio programma indopacifico, compresa l’addomesticazione di Taiwan. Ed è interessata a un fallimento della Nato e a un ulteriore deterioramento del prestigio della democrazia.

L’Unione europea è oggi più unita da eventi traumatici: il clima, la pandemia, ora la guerra. Avrebbe dovuto unirla l’immigrazione, e ha agito al contrario. Oggi le divisioni tradizionali, le divisioni nazionaliste, sono solo assopite, e pronte a svegliarsi esacerbate, come nel si salvi chi può energetico. Ma per il momento, e salva l’elezione francese, un consenso tra i maggiori paesi può tenere. A est, la posizione più sentitamente antirussa dei paesi che si ricordano del patto di Varsavia è piuttosto paradossale. Le stesse motivazioni che facevano della Polonia (e fanno tuttora, al confine con la Bielorussia) un bastione efferato della xenofobia e dell’intolleranza religiosa, agiscono ora alla rovescia con l’accoglienza magnifica di milioni di donne bambini e vecchi ucraini spogliati di tutto. Questi paesi (con l’eccezione, chi sa quanto solida, dell’Ungheria di Orbán, e dell’appendice balcanica della Serbia) sono accomunati dalla riluttanza al compromesso con la vicina Russia e dal desiderio del rafforzamento della Nato americana. Ma il loro atteggiamento non è inesorabile, e la Polonia potrebbe considerare più di quanto non faccia il proposito del Papa.

Al punto: accanto alla ricerca del cessate il fuoco e al negoziato questo sì di compromesso fra Russia e Ucraina, penso che l’Unione europea, per bocca dei suoi principali portavoce, possa avanzare la proposta di una nuova stagione di disarmo che riprenda i fili interrotti del trattato Inf, sui missili nucleari a raggio intermedio installati in Europa da Usa e Urss, via via aggiornato, finché in anni recenti gli Usa hanno ripetutamente denunciato la violazione del patto da parte della Russia, e nell’agosto del 2019, con Trump, ne sono usciti.

Per effetto di quegli accordi, davvero un gran numero di armamenti micidiali venne smantellato, e si stipularono condizioni di reciproco controllo. L’Europa, principale beneficiaria, fu peraltro soprattutto il campo di applicazione. Oggi un nuovo trattato dovrebbe considerare per la prima volta armi come le testate nucleari “tattiche”, finora escluse dalla non proliferazione, e altre armi ufficialmente convenzionali ma di potenza comparabile a quella atomica: la guerra d’Ucraina le ha rese note e incombenti negli incubi delle persone comuni. Sono argomenti che vanno lasciati agli esperti, che siano tecnici delle armi o tecnici del disarmo. E intanto, i responsabili della transizione ecologica, affossata dalla guerra, dovrebbero farsi anche responsabili di una riconversione dell’industria degli armamenti. E Mariupol? E Bucha? Bucha e Mariupol, scolpiamole nei cuori, se abbiamo cuore. Scriviamoli su una pagina intestata alla Corte penale internazionale, se è il nostro mestiere. E se ci interroghiamo su come far finire la guerra immaginando la pace? Ho anch’io quel pensiero: Non è il momento. Proprio per questo è il momento.

C’è bisogno di persone con una pazienza e una speranza straordinaria. Ma sono le occasioni, e specialmente le minacce mortali, a suscitare in persone comuni qualità straordinarie, purché sappiano mettersi alla prova. Oggi l’Europa può proporre un vero, forte rilancio. Una svolta che faccia impallidire e vergognare la pretesa di grandezza della guerra. Un progetto che sia orientato alla riassicurazione reciproca, tanto più necessaria nella fase in cui davvero, e finalmente, avanzi la difesa europea. (Della quale misure come l’adeguamento delle spese dei singoli stati, il famoso 2 per cento, o il clamoroso programma di riarmo tedesco, non sembrano costituire tanto delle tappe quanto degli inciampi).

E’ chiaro che un piano di disarmo graduale, concordato e controllato fra Europa atlantista ed Europa russa fa i conti con una situazione globale in cui la parte di altri attori è cresciuta enormemente. E’ un problema da affrontare per non favorire lo squilibrio. Ma Russia, da chiunque governata, ed Europa, in un governo comune svincolato di fatto dall’unanimità, potrebbero trovare in un simile passo il modo di salvare, con o nonostante qualche effimera e stanca faccia, la convivenza e una prospettiva di pace, e con essa un esempio al resto del mondo. E’ questa, allo stato delle cose, l’utopia insieme possibile e necessaria. Se perseguita, restituirebbe alla guerra d’Ucraina e alla sua conclusione il rango di una tragica contesa di frontiera, liberandola dalle frustrate e paranoiche velleità di guerre di civiltà. Popoli e governi d’Europa, di qua e di là della nuova minacciata cortina di ferro, saprebbero riconoscersi in una comune e bella intelligenza. 

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