il metodo Vladimir

Putin ha accumulato un bottino al sud dell'Ucraina che non restituirà

Micol Flammini

Mariupol conta i giorni e i cittadini cercano di scappare per non ritrovarsi nel corridoio russo che dal Donbas porta alla Crimea. Il metodo del capo del Cremlino è sempre lo stesso: prendersi il territorio e mettere Kyiv e la comunità internazionale davanti a un fatto compiuto

Da Mariupol i cittadini cercano di fuggire, è impossibile rimanere nella città assediata che sta per cadere, dove da trentasei giorni non entrano viveri né medicine. Chi è rimasto, ha vissuto sottoterra in questo ultimo mese, ha aspettato un mezzo  che lo portasse via, ha temuto – e il timore si è rivelato fondato – che i russi non rispettassero la tregua necessaria all’apertura dei corridoi umanitari. Il governo ucraino venerdì ha inviato più di quaranta autobus per evacuare i civili, a questi si sono aggiunte le macchine dei privati, uscire dalla città è difficile. Mariupol è una città strategica, da lì passano le esportazioni di acciaio e di cereali e occupandola, Mosca avrebbe il controllo delle coste che le consentirebbe anche di entrare dalla Russia nel Donbas e poi percorrere tutta la striscia di terra che porta alle regioni di Mykolaïv e di Odessa. L’esercito russo ha difficoltà, a nord fa finta di ritirarsi, gli ucraini hanno incominciato a riguadagnare terreno ma a sud Mosca ha un territorio che vuole mantenere, un bottino da usare o per essere più potente durante i colloqui, oppure  come piattaforma militare da cui far ripartire la prossima fase della guerra. E’ una zona strategicamente molto rilevante, e che potrebbe non avere intenzione di ridare a Kyiv.  Venerdì le delegazioni russa e ucraina si sono parlate in videoconferenza, dopo il bombardamento di un deposito petrolifero a Belgorod, in Russia, molto vicino al confine ucraino. 

 

La Russia dice che è stata Kyiv a bombardare, il ministero della Difesa ucraino smentisce, ma Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, ha detto che il fatto inciderà in modo sfavorevole sui colloqui. Il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky ha ripetuto  che la Russia non cederà sulla Crimea e sul Donbas, quelle due zone che Mosca considera già sue o sotto la sua influenza. Anche solo con queste affermazioni di Peskov e Medinsky si capisce che sarà difficile che Mosca sia davvero pronta a ritirarsi e soprattutto a lasciare  il corridoio del sud. 

 

Le regole dei negoziati la Russia le fa sul campo di battaglia, non al tavolo, non a Istanbul con Erdogan o in teleconferenza: per capire quello che vuole e quello che è pronta a concedere bisogna vedere come si muove il suo esercito. E’ vero che va a rilento, che è impantanato, che ci sono le prime defezioni, ma a sud sta accelerando i suoi sforzi. Lo stato maggiore ucraino ha anche riferito che Mosca sta tentando di creare una Repubblica popolare di Kherson per amministrare l’Ucraina meridionale occupata, ha detto anche che il Cremlino si sta “occupando del  personale delle forze dell’ordine e funzionari del tribunale russi da mandare  in Ucraina”. Il modello è quello delle repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Luhansk, che si sono autoproclamate indipendenti nel 2014, che Mosca ha riconosciuto due giorni prima di attaccare Kyiv e che per otto anni hanno combattuto contro l’esercito regolare ucraino rompendo l’uniformità territoriale della nazione. 

 

Fa tutto parte del metodo Putin che è molto diverso da quello di Zelensky. Mentre il presidente ucraino strepita, dice quello che vuole per ottenerlo, il capo del Cremlino mette davanti al fatto compiuto. Mosca sta sfasciando una nazione, ma a sud sta colpendo con più forza e cerca di andare più veloce: ha costretto le persone alla fuga e distrutto le industrie di una zona economicamente fiorente –  quando la guerra finirà bisognerà ricostruire e ci vorranno soldi che la Russia non ha – ma c’è il rischio che già consideri il sud non negoziabile. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.