Gli abitanti intrappolati dentro Kherson ci raccontano l'occupazione russa

Daniele Raineri

I russi vogliono introdurre il rublo, controllano i telefoni e fanno sparire le persone

Odessa, dal nostro inviato. Il Foglio ha intervistato tre persone che abitano dentro Kherson, la prima città dell’Ucraina a essere occupata dai soldati russi il 2 marzo. Kherson, trecentomila abitanti, contigua alla Crimea, nel piano del presidente russo Vladimir Putin avrebbe dovuto essere un esempio positivo del fatto che gli ucraini sono pronti ad accogliere i suoi militari come liberatori. Non è così, gli abitanti protestano contro l’occupazione, le manifestazioni sono state represse con la violenza – c’è stato un morto – e la situazione è difficile. I collegamenti con il resto del paese sono stati bloccati, non si può entrare o uscire e anche se fosse possibile per raggiungere l’Ucraina non occupata bisognerebbe passare attraverso una linea del fronte molto attiva, dove si combatte con intensità. Le interviste sono state fatte in modo separato, il Foglio preferisce non pubblicare i nomi dei tre intervistati per non esporli a rappresaglie. Ecco che cosa dicono. A Kherson non ci sono combattimenti, ma si sentono bene gli scontri a poca distanza. E’ ancora sotto il controllo dei russi, che pattugliano ogni giorno le strade. Ci si aspetta che un giorno l’occupazione finirà e i russi saranno cacciati. Le televisioni ucraine sono state bloccate e anche le radio, ci si tiene informati con i social o grazie al passaparola. Gli anziani adesso guardano le tv russe, perché sono le sole disponibili. “Anche io la guardo per capire e vedo che persino i più democratici fra i russi ripetono sempre la solita cosa: l’Ucraina è nostra”. 

 

Gli intervistati dicono che a loro non sono stati controllati i telefoni ai posti di blocco per vedere se c’erano chat o foto compromettenti, ma conoscono casi nei quali è successo. Dicono anche che nessuno li ha fermati per controllare i loro tatuaggi, ma di nuovo conoscono casi nei quali è accaduto – “succede se ti arrestano” (nella città assediata di Mariupol i soldati controllano la pelle ai civili per capire se appartengono alle milizie di estrema destra, che spesso incoraggiano tatuaggi specifici). Gli intervistati spiegano che non hanno visto arresti arbitrari e uccisioni, ma in questi giorni sono diventate molto comuni le richieste per trovare gente scomparsa. In alcuni casi le sparizioni sono temporanee e durano due, tre giorni. Fra le persone prese dai russi ci sono molti sindaci dei villaggi circostanti, nella zona di Skadovsk e di Hola Prystan. Fanno pressione sui sindaci per convincere tutti gli altri. Per il sindaco di Chulakovka sono arrivati armati nel suo ufficio in sei, gli hanno chiesto “almeno che non ci fosse resistenza”.

 

In questo “almeno” c’è tutto il fallimento di un’operazione che doveva finire tra gli applausi della folla. I russi hanno arrestato il giornalista Oleg Baturin per sei giorni. Un intervistato ha visto dieci uomini in borghese armati arrivare con le macchine e sfondare la porta di un appartamento vicino al suo per prendere tutto. “Cosa avrei dovuto fare, chiamare la polizia? Non c’è”.   Una domanda specifica riguarda Pavel Slobodchikov, un politico locale filorusso ucciso a raffiche di mitra il 20 marzo. Era il braccio destro di Vladimir Saldo, l’ex sindaco di Kherson molto favorevole all’occupazione. E’ stato ucciso vicino alla casa di Saldo, dicono gli intervistati, come per dare un segnale ai politici che stanno con gli occupanti. I russi stanno cercando di cambiare il governo della città? Vogliono far adottare il rublo come moneta e si appoggiano ai resti del Partito delle regioni, una fazione filorussa, ma per ora non hanno annunciato cambiamenti. I problemi più urgenti: le code di molte ore fin dall’alba per il cibo e per ritirare i soldi in banca, la mancanza di tutto a partire dai medicinali per finire con il cibo per animali.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)