Serve discontinuità pure nell'arte

Dal Financial Times ai direttori dei musei, tutti contro Bonisoli. Pensarci

Serve discontinuità. Non è facile capire che cosa significhi, in concreto, il mantra ripetuto fino allo sfinimento in questi giorni da Nicola Zingaretti. Ma ci sarebbe un esempio facile facile, di discontinuità. Che non ha la portata macroeconomica che avrebbe l’abolizione di Quota 100, ma un valore economico, e assieme simbolico, ce l’avrebbe. Si tratterebbe di capire se nel futuribile governo Pd-M5s potrà trovare ancora posto un tecnico della maison Casaleggio come Alberto Bonisoli, addetto ai Beni culturali. Lui, il ministro, è evidentemente convinto di sì, e in funzione di una auto-riconferma si sta comportando. Per prima cosa blindando a governo scaduto la sua controriforma dei Beni culturali, ma facendo allo stesso tempo innervosire tanto la Lega, sul tema delle autonomie, e persino i suoi sostenitori di prima, il giro Montanari e soci. Il che, da un lato, suggerisce che la controriforma sia un vero pasticcio. Ma, dall’altro, suggerisce il tentativo di presentarsi come un tecnico non legato a nessuno e perciò buono per tutte le stagioni.

 

Ma se i contraenti del futuro governo facessero un minimo di attenzione, si accorgerebbero di tanti segnali che quella discontinuità chiedono. A partire – non per farsi dettare l’agenda dagli stranieri, ma perché il fatto è macroscopico – dal Financial Times, che qualche giorno fa ha dedicato una pagina alla “guerra per l’arte in Italia” in cui si denuncia l’opera dei “leader populisti che sembrano determinati a politicizzare lo straordinario archivio artistico del paese”. Contro la riforma si è espresso il Consiglio superiore dei beni culturali (mai ascoltato da Bonisoli mentre preparava i suoi interventi) e infine anche i più prestigiosi direttori dei musei italiani – da Silvain Bellenger di Capodimonte a Peter Assman di Palazzo Ducale a Mantova a James Bradburne di Brera a Paola D’Agostino del Bargello – hanno firmato un documento fortemente critico contro gli accorpamenti (con rimozione dei direttori) voluti da Bonisoli. Il Ft denuncia il ritorno del “veto statale” che accorpa al ministero tutti i poteri. Una riforma, scrive il giornale, cui fa da sfondo la crescente retorica anti straniera e agli attacchi ai media da parte del governo italiano”. Serve discontinuità.

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