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I restauri di Franceschini

Il ministro torna al Mibac(t) e trova la sua riforma smontata. Cosa si può fare

Dove eravamo rimasti? E’ la domanda montanelliana che Dario Franceschini potrebbe rivolgere ai suoi collaboratori, rientrando tra qualche giorno al Collegio Romano. E’ lecito che la ponga, e senza retorica: era stato il ministro autore di una riforma importante, seppur incompleta ed emendabile, che aveva, tra le molte cose, dato autonomia e direttori di rango internazionale ai grandi musei. Franceschini, rientrando al suo ex ministero, ritroverà tra l’altro anche la “t” di turismo, competenza che era stata scorporata per aggregarla alle Politiche agricole del leghista Gian Marco Centinaio: ora vengono di nuovo riuniti i Beni culturali e ciò che concerne la “valorizzazione” economica delle bellezze del paese. Ma troverà, per il resto, una situazione molto cambiata.

 

Dopo di lui era arrivato Alberto Bonisoli, tecnico casaleggiano, e aveva provato a smontare una riforma giudicata troppo mercatista (in realtà toglieva rendite di posizione a molte burocrazie e accademie) sostenuto dal tifo indemoniato della curva benecomunista-statalista: ieri Tomaso Montanari twittava, con la consueta foga, che “se davvero Franceschini torna al Mibac, come se il 4 marzo non ci fosse mai stato” sarà “uno schiaffo in faccia all’articolo 9 della Costituzione”. E c’era quasi riuscito, Bonisoli, blindando in zona Cesarini alcuni decreti che ri-centralizzano le funzioni chiave sulle Belle arti, aboliscono i cda dei grandi musei autonomi, e via ri-statalizzando. L’ex ministro tre giorni fa ha difeso la sua opera con una lettera di commiato “a tutti i dipendenti Mibac”, in cui rivendica, tra l’altro, alcuni accorpamenti museali (Firenze, Milano, Villa Giulia) che dovrebbero trasformarsi in “veri e propri hub museali” e che sono stati pesantemente criticati da molte parti. Rientrare sul luogo in cui si è lavorato, e trovare calcinacci dappertutto, dovrebbe indurre Franceschini a rimettersi al lavoro da dove lo aveva lasciato. Ma la domanda di Montanelli potrebbe anche non porsela, per carattere e per motivi di opportunità politica: difficilmente disferà tutto ciò che ha fatto il nuovo partner di governo. Confermerà (probabilmente) i “suoi” direttori in scadenza a fine settembre, rimetterà in funzione alcuni princìpi di autonomia. Poi si vedrà. La cosa importante è che si ricordi che il Mibact, seppure non è un ministero strategico, è un luogo chiave, e altamente simbolico, per far ripartire l’Italia.

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