Tomaso Montanari (foto LaPresse)

Montanari la pensa come Fedez. Fine di un influencer dei Mali culturali

Maurizio Crippa

Date una pensione al critico, eterno perdente con Franceschini

E diamoglielo un premio alla costanza, una medaglia all’insistenza, una Quota 100 delle cause perse, prima che diventi una malattia. Se lo merita un premio, questo Willy Coyote del patrimonio artistico, che più ne progetta per instaurare la sua democrazia ridotta al solo Articolo 9 e meno ne azzecca. Sono anni che combatte con tutti i mezzi, soprattutto gli piace la lotta del fango nel ventilatore, per far fuori l’odiato Dario Franceschini dai Beni culturali, in attesa di farlo fuori della vita politica tout-court. Ieri lo ha definito “l’inaffondabile avvocato ferrarese” sprovvisto di prestigio culturale e statura morale, ma dotato per “gli intrighi nei corridoi della politica” con cui ottiene “ciò che non gli si sarebbe dovuto a nessun costo concedere”. Epperò niente, tutto veleno sputato senza mordere la caviglia. Franceschini è tornato ai Beni culturali, al posto di quel manager di Casaleggio che per un pugno di mesi Montanari e affini avevano pensato di manovrare come un birillo. Franceschini intende “riprendere il lavoro interrotto”, e Montanari non se lo fila più nessuno. Tipo Salvini. Anzi, l’unico che se l’è filato ieri è stato Fedez (sì, quello) che gli ha postato l’intero articolo in una storia di Instagram, con emoji disperato e commento: “A volte ritornano”. E ci rendiamo conto, poveraccio, che essere un normalista antimercatista e finire difeso dall’emblema dell’ignoranza universale trasformata in fatturato, è dura. Fedez, il bene culturale del quattrino social, è quanto di più indigeribile per Zdanov Montanari. Invece la pensa come lui. Dategliela, ’sta Quota 100.

 

Perché i nervi sono corde di violino. Ieri sul Fatto ha vergato una serie di contumelie, contro Franceschini e contro il destino cinico e baro (che poi sarebbe la politica parlamentare: ma che può capirne lui, feticista del “4 marzo 2018”) che l’ha riportato al Collegio Romano. Se Franceschini fosse la carogna che Montanari dipinge, sporgerebbe querela. “Fenomeno del professionismo della politica” che è “rovina della democrazia”, scrive scomodando Calamandrei (faceva prima a citare Fedez, no?). Colpevole di aver troncato “l’esperienza del miglior ministro dei Beni culturali della Repubblica, Massimo Bray” (più che Fedez questa gliel’ha spiegata D’Alema). “Il peggiore, l’autoreggente (copyright dell’Espresso) Franceschini”. La colpa del neo ministro? “Con lui la mercificazione spinta del patrimonio culturale è diventata legge, la tutela è stata messa nell’angolo, la politica ha cominciato a giocare coi grandi musei come gioca con la Rai”. Qualcuno ha visto musei trasformati in fast-food, o in set di La vita in diretta?).

 

Dice Montanari di conoscere “decine di archeologi, storici dell’arte, archivisti che si acconciarono (col naso mezzo tappato) a votare un Movimento cinque stelle… pur di non sentire mai più il nome di Franceschini associato alla parola cultura”. Bum! Erano pronti a mettere mano alla rivoltella, come tanti Goebbels, evidentemente. La vis polemica, quando scappa di mano, è grottesca: dal benecomunismo al benegoebbelismo il passo è breve. Secondo questo Brancaleone alle crociate culturali, la principale ragione per cui si sarebbe dovuta “evitare l’assurdità della situazione determinata da questo revenant” è che al revenant potrebbe venire in mente di smontare le controriforme fatte dal suo amato Bonisoli. Anche se, con mossa da scorpione, qualche settimana fa Tomaso Montanari (sempre sul Fatto) quella controriforma aveva aspramente criticato. Ma allora non era ancora nato il Conte bis, la poltrona del Collegio Romano era quasi vuota, i direttori dei grandi musei erano ancora traballanti. E i professionisti dei Beni culturali, per dirla alla Calamandrei, erano liberi di dire tutto e il contrario di tutto.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"