La grande commedia del sovranismo artistico
La campagna per farci restituire le opere d’arte copre un vuoto di idee. Bonisoli prepara un gabinetto di guerra
Ora che abbiamo candidato anche i muretti a secco a patrimonio dell’Unesco, siamo sempre meglio instradati verso il paese della conservazione, arroccato sulle antiche pietre, peraltro ben scolpite, dell’italico ingegno. Ciò che è nuovo, invece, è una minaccia. C’è sempre un comitato contro, da ultimo ad esempio la mezza insurrezione, guidata dai fratelli d’Italia Sgarbi e dai soliti addetti del No contro il progetto di costruire una nuova struttura espositiva (non particolarmente invasiva, dai rendering) da inserire nel giardino di Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Poco meno che uno stupro.
Può essere vero che attorno al magnifico Palazzo dei Diamanti (ma se ci siete stati, spira quell’aria di piccolo borgo antico che fa sospirare: che ce ne faremo di tutta questa bellezza immota?) ci sono altri spazi storici da meglio utilizzare. Ma l’anatema contro 500 metri quadrati di ferrovetro per ampliare una sede museale è come dire che la Piramide ha rovinato il Louvre, o la torre di Botta per il nuovo palco della Scala ha sfregiato la musica lirica.
Sono polemiche spesso accademiche, ma fanno rima con questo nuovo mood un po’ comico, il sovranismo artistico, che soffia sui giornali filogovernativi e sembra ispirare come una folgorazione il governo del popolo. Aveva iniziato il direttore degli Uffizi-Palazzo Pitti, che pure è un europeista convinto, Eike Schmidt, con il Vaso di fiori rubato dai nazisti. La procura di Bologna vuole la restituzione di otto capolavori ingiustamente esposti a Belgrado, il Mibact fa sapere che sull’Atleta di Lisippo spezzeremo le reni alla Getty Foundation.
Antonio Socci ieri su Libero ha ripreso la bella storia della restituzione della Cena di Cana di Veronese che sta al Louvre e dovrebbe stare a Venezia: tutto giusto, ma sta là da due secoli ormai, come molte delle diecimila opere che secondo il Nucleo tutela patrimonio culturale sono finite all’estero nel corso della storia. Sono tutte rivendicabili? Chissà. Le legislazioni sono complicate, e molte opere, ormai, stanno meglio dove stanno, e danno ugualmente lustro alla patria.
Il sovranismo artistico sembra più che altro mascherare l’immobilismo del nostro sistema culturale su tutto il resto. In mancanza d’altro, infatti, il ministro Alberto Bonisoli ha preso la palla al balzo e ha convocato, mercoledì scorso, il Comitato per la restituzione dei beni culturali che era in sonno da tempo. Lo presiederà personalmente, in coordinamento anche con gli Esteri e il ministero della Giustizia, perché “il governo è attento e compatto sull’affermazione di princìpi che sono, prima di ogni altra cosa, di etica e di legalità”. Una sorta di gabinetto di guerra della rivendicazione artistica. Ora, intendiamoci, è tutto legittimo e nemmeno troppo nuovo: il Comitato per la restituzione dei beni culturali lo “ricostituì” dopo anni di latenza già Sandro Bondi nel 2008, dopo che ad aver rilanciato l’attenzione su queste tematiche era stato Francesco Rutelli.
Ma sorge il dubbio: quando ci saremo fatti restituire qualche centinaio di opere, e non sapremo bene dove metterle, a parte l’orgoglio nazionale cosa avremo fatto per valorizzare il nostro patrimonio culturale? Colpisce la mancanza di visione. Abbiamo musei insufficienti, ma il governo pensa a tagliare il Maxxi e Bonisoli a smantellare la riforma Franceschini (sta per arrivare una nuova riforma del Mibact). Manca il personale, ma dire che “in manovra siamo stati molto attenti al discorso assunzionale” è un eufemismo. All’estero allestiscono mostre epocali con le nostre opere, ma noi quasi ci facciamo scippare le iniziative per i 500 anni di Leonardo. Tutto è bene quel che finisce bene, e l’ultimo chiuda la porta del museo.
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