La rivolta dei detenuti al carcere San Vittore a Milano (foto LaPresse)

Il sovraffollamento carcerario non era una fake news

Luciano Capone

Se i detenuti sono in rivolta è anche per il negazionismo del capo del Dap

Il bollettino al momento è di 12 vittime. In questi giorni in cui il paese è giustamente concentrato sul coronavirus c’è solo un luogo, esclusi gli ospedali delle zone più colpite dall’epidemia, dove si registra un picco anomalo di decessi: le carceri. La sospensione dei colloqui e di altri benefici dei detenuti, proprio per prevenire i contagi del coronavirus, ha innescato una rivolta nelle carceri italiane che ci ricordano scene viste solo nei film americani o nelle prigioni sudamericane. Sommosse, violenze, incendi, scontri, evasioni, detenuti sui tetti, assalti alle farmacie e, purtroppo, morti. Napoli, Frosinone, Vercelli, Alessandria, Milano, Palermo... il contagio si è esteso in tutto il paese con una velocità superiore a quella di qualsiasi virus. Dopo la rivolta al carcere di Modena sono morti nove detenuti, secondo i primi riscontri di overdose da psicofarmaci dopo aver assaltato la farmacia del penitenziario. A Rieti, per le stesse motivazioni, le vittime sono state tre. A Melfi i rivoltosi hanno tenuto in ostaggio per una decina di ore nove persone (quattro agenti di polizia penitenziaria e cinque tra medici e infermieri). A Foggia l’insurrezione ha portato a un’evasione di massa da parte di decine di detenuti, una ventina ancora non rintracciati. L’elenco potrebbe continuare a lungo e somiglia a un bollettino di guerra. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha invitato i detenuti alla calma e ha espresso solidarietà agli agenti di polizia penitenziaria. Del lavoro del Guardasigilli, quando sarà passata l’emergenza coronavirus, anche la maggioranza dovrà fare un bilancio politico, ma di fronte a una situazione completamente fuori controllo non si comprende come sia possibile che il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Francesco Basentini, sia ancora al suo posto.

 

 

Basentini, ex procuratore aggiunto a Potenza dove è divenuto celebre per l’inchiesta sulla Rimborsopoli lucana e quella sul petrolio in Basilicata che portò alle dimissioni dell’allora ministro Federica Guidi (estranea alla vicenda), non è tanto responsabile per ciò che è accaduto. Ma per aver sottovalutato, e addirittura negato, le cause. La stretta sui permessi a causa del coronavirus è stata solo la scintilla di una situazione esplosiva delle carceri italiane, che hanno una capienza di 50.931 e ospitano 61.230 detenuti, oltre 10 mila in più. La cosa grave è che per Basentini il sovraffollamento delle carceri semplicemente non esiste, a differenza di quanto sostengono associazioni come Antigone, i Radicali e il Garante dei detenuti. La tesi di Basentini è più o meno quella più volte espressa da Piercamillo Davigo, secondo cui il “sovraffollamento delle carceri è una balla”, perché il problema non sarebbe che ci sono troppi detenuti, ma che lo stato ha stabilito che hanno diritto a troppo spazio.

 

 

Basterebbe ridurre, per legge, da 9 a 3 metri quadri lo spazio per ogni detenuto e il problema è risolto. “Siamo in grado di ospitare non solo 60 mila persone, ma molte di più”, aveva dichiarato non molto tempo fa Basentini in audizione. Altro che strapiene, le carcere secondo lo standard di Basentini sarebbero semivuote. Un’affermazione a cui, in questi termini, non era arrivato neppure Davigo che pure è l’autore dell’affermazione paradossale secondo cui “le carceri sono affollate perché ci sono pochi posti non perché ci sono troppi detenuti”. Che è come dire che gli ospedali non sono sovraffollati perché ci sono troppi malati di Covid-19, ma perché ci sono pochi posti letto. Ma questo non cambia il fatto che bisogna bloccare l’epidemia e mandarne di meno in ospedale. Secondo la logica di Basentini, invece, i posti ci sarebbero: basta stringersi un po’. Se ora le carceri sono in rivolta è anche per questo atteggiamento cieco rispetto al sovraffollamento carcerario e ai diritti dei detenuti. E la responsabilità è di chi, come Basentini, non ha voluto vedere.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali