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Così in Libia i respingimenti illegali dei migranti sono diventati la normalità

Luca Gambardella

Roma temeva che la guerra avesse distratto i libici dalla sorveglianza del Mediterraneo, ma ieri le motovedette di Tripoli hanno intercettato due barconi con circa 200 persone a bordo

La cosiddetta “Guardia costiera libica” è ancora viva e lotta insieme all’Unione europea nella pratica illegale dei respingimenti dei migranti verso un paese in guerra. L’operatività dei guardacoste di Tripoli era stata messa in discussione il mese scorso, quando il ministro dell’Interno del governo di unità nazionale libica, quello sostenuto dalla comunità internazionale, aveva detto al Giornale che le motovedette donate dall’Italia a Tripoli erano tutte impegnate nella guerra contro il generale Khalifa Haftar e che le operazioni di soccorso ai migranti erano state sospese. Una mossa mediatica, quella del governo di Tripoli, che faceva il paio con quella lanciata qualche giorno prima dallo stesso Serraj, che aveva preannunciato un’invasione inesistente di 500mila persone sulle coste italiane. Entrambe le notizie sono destituite di fondamento e rientrano tra i tentativi di Tripoli per convincere la comunità internazionale a continuare a sostenere il premier Serraj. La conferma che la Libia non ha interrotto le sue operazioni di monitoraggio delle coste è arrivata ieri, quando due barconi con un numero notevole di migranti – in confronto ai numeri esigui degli sbarchi in Italia nel 2019 – sono stati intercettati al largo del paese e ricondotti sulla costa dai libici. 

 

 

Ma se il governo italiano può tirare un sospiro di sollievo, resta il fatto che questi respingimenti verso un porto non sicuro come quello libico avvengono in violazione delle convenzioni internazionali. Basti guardare alla dinamica dei due “salvataggi” compiuti ieri sera. Un intervento ha interessato un gommone a circa 60 miglia dalle coste della Libia. Su un altro barcone di legno non distante dalle acque maltesi ce n’erano addirittura 100. Per ore, in un tratto di mare piuttosto ampio, tre aerei sar (cioè in assetto di soccorso search and rescue) appartenenti a quello che resta della missione europea Sophia e un altro aereo militare maltese hanno monitorato dall’alto la situazione dei due barconi per poi delegare alle navi libiche le operazioni di recupero dei migranti. A confermarlo all’equipaggio della nave ong Mare Jonio – salpata dal porto di Marsala da qualche giorno nonostante la diffida delle autorità italiane a non compiere operazioni di salvataggio – è stato il Comando delle capitanerie di porto di Roma (Mrcc). La nave di Mediterranea - Saving Humans aveva tentato di raggiungere i due barconi in difficoltà ma è stata fermata dall’Mrcc di Roma che ha comunicato la presa in carico delle operazioni da parte dei libici. Non si conosce la sorte delle persone a bordo: secondo quanto riferito da Tripoli, la motovedetta “Sabratha 654” (una classe Bigliani donata da noi italiani) ha fatto rotta verso il porto. Non si sa quanti migranti siano ancora vivi, non si conoscono le loro condizioni, non si sa se le operazioni di recupero si siano compiute nel rispetto delle norme sar. Quello che si sa per certo è che i sopravvissuti sono stati ricondotti nei centri di detenzione libici, ormai nel mezzo dei combattimenti tra i due fronti in guerra.

 

  

Nel paese ci sono al momento quasi 43 mila persone sfollate, le vittime accertate sono 390, 1.900 i feriti. Altri 3mila tra migranti e rifugiati sono attualmente detenuti dalle autorità libiche nei campi di Sabaa, Anjila, Tajoura e Abu Salim. Secondo le Nazioni Unite, in quest’ultimo centro di detenzione a ridosso del fronte dei combattimenti in corso tra gli uomini di Haftar e di Serraj i migranti soffrono di una grave carenza di cibo e di un’epidemia di tubercolosi. Proprio i migranti sono tra le vittime principali del disastro umanitario libico: l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha detto che, da gennaio a oggi, 722 persone sono arrivate in Italia, 308 a Malta; altre 1.092 sono state respinte in Libia (a queste vanno aggiunte le altre 200 recuperate ieri sera). Il totale dei morti in mare è 257, ma il dato è da prendere con le molle, perché le autorità libiche non danno informazioni su eventuali vittime nelle operazioni di salvataggio. Sempre secondo l’Oim, il tasso di morti tra chi tenta la traversata nel 2019 è del 12 per cento. Nel 2018 era del 3,5 per cento, nel 2017 del 2,6 per cento. Gli studi condotti dall’Ispi hanno dimostrato che non esiste una correlazione tra l’instabilità interna alla Libia e l’aumento delle partenze dei migranti. Ma d’altra parte, attraversare oggi il Mediterraneo non è mai stato tanto pericoloso.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.