Un gruppo di guerriglieri del governo libico a Salah al-Din, a sud di Tripoli (Foto LaPresse)

Free Moncef Kartas! L'arresto di un funzionario dell'Onu in Tunisia riguarda anche l'Italia distratta e afona

Daniele Raineri

L'esperto di traffici d’armi è in prigione da oltre 50 giorni e rischia la pena di morte, ma il nostro governo tace

Moncef Kartas è un esperto con doppia nazionalità, tunisina e tedesca, che assieme ad altri cinque specialisti lavora nel comitato delle Nazioni Unite che si occupa dell’embargo sulle armi in Libia. Il suo è un lavoro molto delicato: in teoria c’è una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la 1970/2011, che vieta di portare armamenti in Libia ma ci sono parecchi governi stranieri che commettono violazioni e trasferiscono armi alle fazioni libiche – quando proprio non intervengono sul campo. In questi anni i rapporti dei sei esperti internazionali hanno accusato entrambi i fronti, sia quello di Tripoli del presidente Fayez al Serraj sia quello di Bengasi del generale Khalifa Haftar, di ricevere materiale da guerra dall’esterno. Kartas è stato ingaggiato dalle Nazioni Unite perché da anni studia questo settore, ha lavorato per un istituto di Ginevra che si occupa di seguire i traffici d’armi nel Nordafrica ma va spesso sul campo ed stato invitato molte volte come consulente anche dai ministeri della Difesa, degli Esteri e dell’Interno tunisini – che per ragioni di sicurezza nazionale sono interessati a capire chi traffica armi con i vicini libici.

  

Una foto tessera di Moncef Kartas distribuita dalla famiglia dopo il suo arresto (Foto LaPresse)


 

La sera del 26 marzo Kartas è atterrato all’aeroporto di Tunisi, ha mostrato il passaporto e il suo documento di viaggio delle Nazioni Unite – che gli garantisce l’immunità – ed è stato subito arrestato da agenti in borghese che l’aspettavano con l’accusa di “spionaggio per conto di governi stranieri”. Ieri è stato il cinquantesimo giorno di Kartas in prigione senza contatti con la famiglia e con i diplomatici tedeschi che lo volevano visitare. Un centinaio di colleghi di molte nazionalità, che l’ha conosciuto nelle università e durante il suo lavoro, ha firmato una petizione pubblica per chiedere la liberazione e il governo tunisino fa finta di nulla. L’accusa di spionaggio è molto seria, c’è la pena di morte, ma per ora non è stata prodotta alcuna prova. Nel bagaglio c’era una chiavetta RTL-SDR, un aggeggio normale da 25 dollari che serve a seguire il viavai dei voli civili e commerciali (sono dati pubblici). Molte armi arrivano in Libia su aerei cargo.

 

  

Attenzione alla data dell’arresto di Kartas: pochi giorni dopo, il 4 aprile, le forze del generale Haftar hanno lanciato un’offensiva contro Tripoli che avrebbe dovuto concludersi nel giro di un paio di giorni con la conquista della capitale e che però si è impantanata perché ha incontrato una resistenza più forte del previsto. Haftar è appoggiato da una larga coalizione di potentissimi stati arabi, dall’Arabia saudita agli Emirati Arabi Uniti all’Egitto, che hanno investito “decine di milioni di dollari” in questa operazione (fonti del governo saudita l’hanno dichiarato al Wall Street Journal) e anche molta credibilità internazionale.

 

  

Da settimane si parla del fatto che le forze di Haftar sono aiutate da bombardamenti notturni fatti con i droni – l’aviazione libica non ha la capacità di fare missioni notturne – e gli esperti che hanno osservato i resti dei razzi sostengono si tratti di droni di fabbricazione cinese in dotazione agli Emirati Arabi Uniti. Se c’era un momento giusto per arrestare un esperto di traffico d’armi libico per impedirgli di lavorare, era proprio questo. A Tunisi, raccontava ieri un articolo di al Monitor, gira la voce che siano stati gli Emirati a chiedere di fermare Kartas – i regni del Golfo guidati dai sauditi non hanno una tradizione specchiata di rispetto del lavoro d’inchiesta. Il governo italiano in teoria ha tutto l’interesse a che la guerra civile libica davanti alla nostra costa non si trasformi in un conflitto internazionale alimentato da armi ed equipaggiamenti che arrivano da fuori, ma per ora tace come se Tunisia e Libia non fossero così vicine.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)