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un controsenso

L'Atac è pacifista. Autobus e metropolitane ferme a Roma e Milano: “Basta armi all'Ucraina”

Salvatore Merlo

Uno sciopero senza senso contro l'invio di rifornimenti militari al paese di Zelensky. Ma che c'entra? I nostri ferrotranvieri impediscono a noi di scendere sottoterra per viaggiare, mentre vogliono continuare a tenere prigionieri lì dentro gli ucraini

L’autobus è spento di fronte alla fermata di via Taranto, a Roma, a pochi passi da Piazza San Giovanni. Sulla porta a bussola si affaccia un autista in semi uniforme (giubba sdrucita nonché macchiata di sugo), e ci consegna un foglietto: “Proclama di sciopero nazionale”. Anvedi. Superata l’immediata impressione che lo sciopero non abbia molto senso in quanto, in primo luogo, a Roma, non sanno proprio nemmeno farli partire gli autobus né i vagoni della metro (sicché semmai lo sciopero lo dovrebbero fare gli utenti), ecco che spingiamo la nostra dissipazione fino a leggere il contenuto del proclama.

 

“Punto numero due. Motivazioni dello sciopero. Blocco delle spese militari e dell’invio di armi in Ucraina, nonché investimenti economici per tutti i servizi pubblici essenziali”. Ecco. Passi la questione degli investimenti economici per i servizi pubblici essenziali. Va bene. Ma esattamente – ci chiediamo – che cosa c’entra l’invio delle armi in Ucraina con quel carrozzone caracollante e strapieno di persone che ci deve portare, se sopravviviamo ai miasmi ascellari, da via Taranto a via del Tritone? L’unico collegamento logico plausibile che ci sovviene tra l’autobus di Roma e l’Ucraina bombardata dai russi, infatti, è quello delle buche stradali che il suddetto automezzo scassato deve attraversare tipo Parigi-Dakar. Dette anche “crateri di Roberto” (nel senso di Gualtieri, che in teoria sarebbe il sindaco di Roma), le buche fanno parte del paesaggio della capitale. Ma la verità è probabilmente un’altra. E le buche non c’entrano. Il fatto è che i sindacati dei trasporti pubblici, a quanto pare, fanno politica estera. A guardare l’autista in semi uniforme sdrucita (nonché macchiata di sugo) non si direbbe. Ma è proprio così. Questi pensano di fare politica estera. Un po’ come quando a Palermo s’erano convinti di mettere fine all’ultima coda della guerra fredda, e allora diedero la cittadinanza onoraria alla sorella di Ernesto Che Guevara. 

 

Il surrogato provinciale della politica estera. Cosa che già allora ci riportava a quelle ironiche pagine di Vitaliano Brancati nelle quali lo scrittore raccontava  che il comune di Catania s’era impegnato in un ordine del giorno intitolato “Dove va la Cina”. Nientemeno. Lo strapaese. E dove va invece l’Atac (ma anche l’Atm di Milano)? Vanno tutti da Putin assieme alla Cgil e a Maurizio Landini. Benché Putin, tollerante e pacifista com’è, se li conoscesse probabilmente li manderebbe tutti in Siberia. Sicché questa politica estera “in carrozza”, per così dire, ci porta a un paradosso finale. Di tutte le immagini che ci arrivano dall’Ucraina assediata, infatti, quella della metropolitana di Kyiv è forse la più simbolica: i civili vivono  nelle stazioni e nelle gallerie della metro per sfuggire alle bombe. E i nostri ferrotranvieri che fanno? Impediscono a noi di scendere sottoterra per viaggiare, mentre ci vogliono tenere prigionieri gli ucraini che invece lì sotto ci vanno per campare.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.