l'editoriale del direttore

Servono armi per fare la pace

Claudio Cerasa

L’Ucraina chiede altri aiuti e l’Italia è pronta a mandare armi più pesanti. Ragioni per essere rincuorati e per continuare a stare con forza dalla parte della libertà. Contro le dittature, i macellai russi e i pacifismi alle vongole

I pacifisti alle vongole devono aver provato una certa ebbrezza, e una certa soddisfazione, nel leggere su alcuni giornali, negli ultimi giorni, una notizia vera a metà, relativa al presunto ritardo con cui l’Italia starebbe mandando in Ucraina le armi richieste dall’esercito per difendersi dall’aggressione russa. Il pacifismo alle vongole, da quasi un anno, sostiene senza vergogna una tesi che ormai conosciamo, secondo la quale la responsabilità della guerra in Ucraina sarebbe in primo luogo attribuibile all’occidente colonialista, che avrebbe messo le sue zampe in Ucraina minacciando la libertà della Russia putiniana, e in secondo luogo sarebbe attribuibile al continuo invio delle armi dell’occidente in Ucraina, fatto che avrebbe prolungato in modo nefasto la durata del conflitto. E così il ritardo con cui il governo italiano sta approntando il testo relativo al sesto decreto di aiuti militari all’Ucraina – un ritardo che una fonte qualificata del ministero della Difesa definisce “tecnico” e “non politico”, ribadendo che nel giro di poche settimane il sistema antiaereo Samp-T verrà inviato in Ucraina e permetterà all’Italia di confermare il suo impegno come terza nazione contributrice per valore economico nel paese guidato da Zelensky – ha contribuito a incoraggiare i teorici di un pacifismo utopistico convinti che oggi, come ha scritto sabato scorso il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, sia necessario “non rassegnarsi a un mondo in cui si pretende di fare delle armi gli aratri del nostro futuro”.

   

Chiedere la pace in Ucraina senza invocare altre armi per difendere l’Ucraina significa però, come sanno anche i sassi, fare il gioco solo di una parte, ovvero quella più armata, ovvero quella russa, e significa, in altre parole, non rendersi conto, come ha saggiamente detto qualche giorno fa il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che “se vogliamo una soluzione di pace negoziata, in cui l’Ucraina sopravviva come paese democratico indipendente, il modo più rapido per arrivarci è sostenere l’Ucraina, e per questo le armi sono, di fatto, la via per la pace”.

 

Il ministro della Difesa ucraina, Oleksij Reznikov, due giorni fa ha ricordato che “per vincere più velocemente ora abbiamo bisogno di carri armati” e negli ultimi giorni alcuni paesi hanno accettato di rispondere con i fatti all’appello ucraino. Il Regno Unito, come ricordato ieri dal Financial Times, sta valutando se fornire il suo moderno carro armato Challenger 2. Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha dichiarato durante il fine settimana di essere “in trattative volte a creare una più ampia coalizione di paesi” per consegnare carri armati occidentali a Kyiv e alcuni funzionari polacchi hanno aggiunto che Varsavia è pronta a fornire una dozzina dei suoi 240 Leopard 2 di fabbricazione tedesca. La Francia, la scorsa settimana, ha annunciato di voler inviare all’Ucraina un numero imprecisato di veicoli corazzati AMX-10. Stati Uniti e Germania, ancora la scorsa settimana, hanno concordato di essere pronti a inviare veicoli corazzati da combattimento in Ucraina, e secondo Politico gli Stati Uniti starebbero valutando anche l’invio di veicoli corazzati Stryker. E lo stesso farà dunque l’Italia, che negli ultimi mesi, raccontano ancora fonti del ministero della Difesa, ha già inviato “mezzi blindati con torrette di sparo” in Ucraina e che entro pochi giorni continuerà a fare magnificamente il suo dovere, rifornendo di armi l’Ucraina, combattendo i teorici della resa oltre che i macellai russi ed evitando di negare quella che oggi è l’evidenza dei fatti: se scegli di lasciare scoperto il cielo, rifiutandoti di ragionare sulle fly zone, non puoi permetterti di lasciare scoperta la terra e devi fare di tutto e di più per aiutare il popolo ucraino a difendere i confini dell’Europa libera.

 

“Più chiaramente sosterremo l’Ucraina – ha detto Anton Hofreiter, deputato dei Verdi e presidente della commissione Affari europei del Bundestag – e più chiaramente segnaleremo a Putin che non rinunceremo al nostro impegno e maggiori possibilità vi saranno che questa guerra finisca”. Per avere la pace servono più armi. E il fatto che il ritardo italiano sia solo tecnico e non politico è una buona notizia che consolida una certezza non scontata che riguarda il nostro paese: stare con forza dalla parte della libertà contro le dittature, contro i macellai russi e contro i pericolosi pacifismi alle vongole.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.