2 agosto 1980 - 2 agosto 2021

A 41 anni dalla strage di Bologna

"Non ci può essere giustizia senza accertamento pieno delle responsabilità", dice il ministro Cartabia. Una raccolta di letture dall'archivio del Foglio

Alle 10 e 25 del 2 agosto 1980 23 chili di esplosivo nascosti in un valigia abbandonata nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna fecero 85 morti e oltre 200 feriti. Da molti indicata come uno degli ultimi atti della strategia della tensione, la strage di Bologna è il più grave attentato terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra, secondo in Europa solo alla carneficina del 2004 alla stazione di Atocha, Madrid, 191 vittime. 

 

"Oggi lo stato rinnova il più solenne impegno per giungere all'accertamento i fatti. Non ci può essere giustizia senza accertamento pieno delle responsabilità: per questo l'attività procede", ha detto, in un passaggio del suo intervento alle commemorazioni della strage, il ministro della Giustizia, Marta Cartabia. "La polvere che rivestiva i corpi martoriati, quella polvere che troppo a lungo ha coperti molteplici responsabilità oggi quella polvere si sta diradando e lascia nuovi contorni e nuovi profili dell'accaduto".

   

Abbiamo raccolto una selezione di letture foglianti, per approfondire i fatti di quei giorni e le vicende successive alla strage di Bologna.

   

Dopo 41 anni il tassello mancante sul fronte delle verità processuali è legato ai mandanti. Dal 16 aprile scorso, ogni mercoledì e venerdì davanti ai giudici della Corte di assise di Bologna va in scena un nuovo processo, il cui principale imputato è Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia nazionale, ritenuto dalla procura generale tra gli esecutori dell’attentato. Secondo i pg, Bellini agì come "quinto uomo" in concorso con gli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva) e con Gilberto Cavallini (condannato in primo grado). Di recente, il 21 luglio, la ex moglie di Bellini l'ha riconosciuto in un video amatoriale girato alla stazione da un turista straniero poco prima dell’esplosione e acquisito solo nelle recenti indagini. La donna ha ammesso di aver mentito, nel 1983, sull'alibi del marito.

  

Seguendo la pista dei soldi, i pg hanno dato un nome a quelle che ritengono le quattro menti della strage. Così, da morti sono stati accusati Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica P2 e Umberto Ortolani come mandanti-finanziatori; l'ex capo dell'ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato indicato come mandante-organizzatore; Mario Tedeschi, direttore della rivista “Il Borghese” ed ex senatore dell’Msi considerato organizzatore per aver coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica della strage - preparatoria e successiva - nonché nell’attività di depistaggio delle indagini.

 

Ma Gelli e i suoi accoliti - scriveva nel 2018 Massimo Bordin - erano padroni del Corriere della Sera e del Banco Ambrosiano, ai vertici delle partecipate di stato, del Csm e dei servizi segreti e il Pci era uscito dall’area di governo. Cosa mai dovevano destabilizzare?

  

Da destra a sinistra, tutti chiedono di fare chiarezza sulla strage. Eppure ci sono già stati tre processi, scriveva tre anni fa Bordin.

    

“Eravamo persone normali, persone anonime. Non esistono gli eroi”. Un'anticipazione dell'intervista andata in onda su Sky Tg24 ad Agide Melloni, l’autista del bus che il giorno dell'attentato trasportò le salme delle vittime all’obitorio.

   

La commemorazione della strage di Bologna, scrivevamo nel 2017, continua a suscitare commozione per un dolore che non si placa e non si placherà mai nella memoria dei famigliari delle vittime. Questo dolore merita il massimo rispetto. Possiamo invece porci qualche domanda sulla polemica politica e giudiziaria che si accompagna a ogni 2 di agosto e che si inscrive in una sorta di archeologia giudiziaria che caratterizza in particolare il nostro paese. La giustizia non sempre arriva fino in fondo, né qui né altrove, ma a un certo punto deve lasciare il campo alla storia, invece che all’archeologia giudiziaria.

  

Bordin aveva scritto molto anche sulla questione della cosiddetta pista palestinese presentata in alternativa alla matrice neofascista di cui parla la sentenza, almeno per quel che riguarda l’esecuzione della strage. "L’ipotesi palestinese", diceva in questa rubrica - che avviò un dibattito con l'allora direttore del Tempo, Gianmarco Chiocci - è "fragile almeno quanto quella che ha portato alla condanna di Mambro e Fioravanti".

   

   

Uno dei mandanti della strage alla stazione di Bologna nel 1980, D'Amato è la "spia intoccabile" del libro di Giacomo Pacini. Affiliato alla P2, vantava una frequentazione con Adriano Sofri. Una spiegazione contro le insinuazioni.

      

Perché è giusta la richiesta di desecretare del tutto i documenti sulla strage.